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Argentina: più controlli sui migranti, abbassamento età punibilità e repressione “mapuche” i tre nodi da sciogliere

Maribé Ruscica

Sono tre le questioni al centro dell’interesse dell’opinione pubblica argentina in questo periodo: i nuovi controlli sui migranti, la riduzione dell’età di punibilità dei minorenni da 16 a 14 anni e la violenta repressione di un gruppo “mapuche” nella Patagonia. Sull’annunciata riforma della legge penale per i minorenni si è pronunciata, lo scorso 6 gennaio, la Commissione della pastorale per le tossicodipendenze della Conferenza episcopale argentina.

Episodi violenti. Dopo la morte a Buenos Aires di Brian Aguinaco, un adolescente argentino di 14 anni, ucciso da un ragazzo peruviano 15enne, nel corso di una colluttazione provocata dallo scippo di un cellulare, il dibattito pubblico gira oggi attorno alla necessità di

rafforzare i controlli sui migranti e ridurre l’età di punibilità penale in modo che i minorenni coinvolti in reati gravi possano essere detenuti e condannati e i migranti con precedenti penali respinti.

Il governo del presidente Macri in questi giorni ha fatto cenno a queste due “necessità”. Intanto, al Sud – nella Patagonia argentina – la violenta repressione di alcuni membri della comunità “mapuche”, che avevano bloccato la ferrovia, da parte delle forze dell’ordine inviate dal governo della provincia del Chubut ha fatto esplodere nel Paese una nuova diatriba tra coloro che definiscono “terroristi” i mapuches e chi – non senza paura – intende rendere visibili i diritti dei popoli originari.

Più controlli, ma no alla xenofobia. Secondo il quotidiano “Clarin”, il governo “prevede di andare avanti con una politica migratoria più dura”, anche se afferma che agirà attraverso “controlli intelligenti”, “senza stigmatizzare nessuno” e “senza cadere nella xenofobia”. “Quando ricevi gente che ha sulle spalle precedenti penali, sei di fronte a una situazione singolare: non si tratta di un migrante, ma di una persona che sta fuggendo dalla legge – avrebbe dichiarato a ‘Clarin’ il ministro degli Affari esteri, Susana Malcorra -. Non possiamo diventare un Paese chiuso ma dobbiamo agire come un Paese responsabile e accogliere coloro che vengono in Argentina animati da buona volontà”. A proposito di xenofobia, Malcorra avrebbe aggiunto: “Non possiamo stigmatizzare e chiuderci perche il nostro Paese è ciò che è grazie agli immigrati che sono giunti qui. Non dobbiamo cadere nella xenofobia, che è ideologia perche gli immigrati, nella grande maggioranza, vengono animati da buona volontà”. La legge 25.871, attualmente in vigore, prevede che non può entrare nel Paese chi abbia ricevuto una condanna o abbia precedenti penali per traffico di armi, persone o droghe, per riciclaggio di denaro, investimenti legati ad attività illecite o per un reato che secondo la legislazione argentina preveda come pena la privazione della libertà per tre o più anni. Il problema è – secondo quanto affermato dagli esperti – che nella maggioranza dei casi non si dispone di queste informazioni da parte dei Paesi di provenienza dei migranti e quindi occorrono “accordi di cooperazione” per avere tali dati. Ma, nonostante le preoccupazioni emerse dopo la morte del giovane Brian e la liberazione del minorenne peruviano che l’ha ucciso,

la percentuale di stranieri che delinquono è bassa: le persone straniere rappresentano solo il 6% della popolazione delle carceri argentine.

Non solo repressione. Nella discussione attorno alla riduzione dell’età di punibilità dei minorenni, dai 16 ai 14 anni, è intervenuta, lo scorso 6 gennaio, la Commissione episcopale per la pastorale delle tossicodipendenze. I vescovi hanno avvertito anzitutto che quest’iniziativa del governo non corrisponde all’emergenza nazionale nell’ambito delle tossicodipendenze, sollecitata il 6 novembre e dichiarata lo scorso 12 dicembre. La Commissione episcopale ha ammesso la necessità di adeguare la legislazione penale giovanile, ma ha chiesto che la questione sia valutata anche da altre prospettive sociali e giuridiche. Il dibattito, secondo la Commissione, non può concentrarsi soltanto sulla repressione dello Stato – attraverso il diritto penale – dei giovani trasgressori della legge, ma sulle forme di garanzia – secondo quanto dettato dalle leggi internazionali, nazionali e provinciali – dei loro diritti, siano o meno trasgressori.“È chiaro – hanno affermato i vescovi – che la giusta distribuzione del reddito e il miglioramento delle condizioni socioeconomiche hanno un impatto sull’infanzia e sul divenire di ogni famiglia. Non possiamo procedere verso una nuova legge penale che faccia diventare i ragazzi trasgressori quasi ‘nemici sociali’. Non possiamo guardare soltanto la ‘fotografia’ del reato commesso da questi giovani, ma l’intero ‘film’ della loro vita. Così, saremo in grado di avvertire la violazione degli standard minimi di diritti sociali e intrafamiliari che dovremo anche considerare”.

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