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“Arrival”: la via del dialogo, sempre possibile

Massimo Giraldi

Presentato in Concorso alla 73ª Mostra internazionale d’arte cinematografica della Biennale di Venezia, “Arrival” del regista canadese Denis Villeneuve – autore di successi come “La donna che canta” (“Incendies”, 2010) e “Sicario” (2015), così come dell’imminente sequel “Blade Runner” 2049 (2017) – è nelle sale cinematografiche italiane dal 19 gennaio. Non bisogna lasciarsi ingannare, però, dai confini del cinema di genere, dalla cornice del thriller di fantascienza. Villeneuve compone infatti un’opera dal valore metaforico forte, dove al centro del racconto c’è un tema caro alla nostra contemporaneità: la ricerca del dialogo e la comprensione dell’“altro”.

E se non fosse un’invasione aliena?
Tratta dal racconto “Storia della tua vita” di Ted Chiang (edizioni Frassinelli), la vicenda si snoda negli Stati Uniti di oggi, quando appaiono sulla Terra dei misteriosi corpi alieni, una sorta di grandi monoliti neri. Il panico si scatena e subito si delinea uno scenario da “guerra dei mondi”. L’esperta Louise Banks (la brava Amy Adams), guida un team chiamato a trovare una via di contatto con le entità aliene; a decodificare il loro codice comunicativo, per capire se sono minacciosi per la sorte dell’umanità. Lo scenario apocalittico inizia piano piano a mutare, quando Louise scopre dei segnali differenti, che rimandano a un orizzonte di possibilità.

Il contesto è apparentemente chiaro, ma Denis Villeneuve è un autore troppo ricercato per accontentarsi di un copione prevedibile, ovvero la lotta contro la minaccia aliena, già ampiamente esplorata dal cinema, soprattutto a partire dagli anni Sessanta. “Arrival” è invece un’opera stratificata, che contiene più di una lettura. Oltre alla minaccia esterna, c’è il tema della comprensione e del dialogo. Il regista, attraverso i tentativi e le indagini della protagonista, ci mette dinanzi a un interrogativo spiazzante: e se gli alieni venissero in pace, come portatori di un messaggio di speranza? Con incedere misterioso – per non dire mistico – e avvolgente, il film “Arrival” si rivela un invito a riconsiderare il nostro approccio con l’“altro”, ad abbandonare la via del sospetto o della paura, capace d’innescare solo violenza, per sposare la soluzione del dialogo e della tolleranza. Il film muove un’ulteriore riflessione: la tutela della vita, l’importanza dello scommettere sullo sviluppo dell’umanità.
Il regista, supportato da un cast di ottimo livello, che oltre alla Adams annovera anche Jeremy Renner (nel ruolo del dottore Ian Donnelly) e Forest Whitaker (è Colonnello Weber, a capo dell’operazione di difesa), mette a segno un altro film riuscito, dando prova del suo talento narrativo e del suo stile visionario, che sta diventando un suo chiaro tratto distintivo, schiudendogli le porte del cinema d’autore.

Lo Spazio sul grande schermo

Da quando l’uomo ha messo piede sulla Luna, il 20 luglio 1969, è cambiato il rapporto tra l’uomo e le stelle, dando una spinta creativa a molti registi cinematografici nell’indagare l’esistenza oltre il nostro piccolo Pianeta. Primo tra tutti – persino prima della camminata sulla Luna – è “2001: Odissea nello spazio” (“2001: A Space Odyssey”, 1968) di Stanley Kubrick, punto di riferimento per tutti gli autori che hanno indagato la vita oltre il nostro Pianeta e le possibili conseguenze di un incontro-scontro. Certo, non è da trascurare una delle pietre miliari della storia del cinema, “Le Voyage dans la lune” (1902) di Georges Méliès.
Dopo Kubrick, si sono imposti nel panorama cinematografico Steven Spielberg, in particolare per “Incontri ravvicinati del terzo tipo” (“Close Encounters of the Third Kind”, 1977) ed “E.T.” (1982), e George Lucas, con l’imponente saga di “Star Wars”. Un altro nome solido del genere è Ridley Scott, autore della saga “Alien”, ma anche di film come “Blade Runner” (1982) e “The Martian” (2015). Tra gli autori “giovani” di talento, con Denis Villeneuve si segnalano Christopher Nolan (“Interstellar”, 2014), J.J. Abrams (“Star Wars. Il risveglio della forza”, 2015) e Morten Tyldum (“Passengers”, 2016).
Lo Spazio è, dunque, ancora terra di conquista ed esplorazione, per l’uomo ma anche per il cinema.

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