“Tutti siamo consapevoli della trasformazione multiculturale che stiamo attraversando, nessuno lo mette in dubbio”, ha osservato il Papa, sottolineando “l’importanza che il consacrato e la consacrata siano inseriti con Gesù nella vita, nel cuore di queste grandi trasformazioni”. “La missione – in conformità ad ogni carisma particolare
– è quella che ci ricorda che siamo stati invitati ad essere lievito di questa massa concreta”, ha ricordato Francesco: “Certamente
potranno esserci ‘farine’ migliori, ma il Signore ci ha invitato a lievitare qui e ora, con le sfide che ci si presentano”. “Non con atteggiamento difensivo, non mossi dalle nostre paure – ha ammonito il Papa – ma con le mani all’aratro cercando di far crescere il grano tante volte seminato in mezzo alla zizzania”. “Mettere Gesù in mezzo al suo popolo – ha spiegato Francesco – significa avere un cuore contemplativo, capace di riconoscere come Dio cammina per le strade delle nostre città, dei nostri paesi, dei nostri quartieri. Mettere Gesù in mezzo al suo popolo significa farsi carico e voler aiutare a portare la croce dei nostri fratelli. È voler toccare le piaghe di Gesù nelle piaghe del mondo, che è ferito e brama e supplica di risuscitare”.
“Metterci con Gesù in mezzo al suo popolo!”, l’invito finale del Papa: “Non come attivisti delle fede, ma come uomini e donne che sono continuamente perdonati, uomini e donne unti nel battesimo per condividere questa unzione e la consolazione di Dio con gli altri. Metterci con Gesù in mezzo al suo popolo, perché sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la ‘mistica’ di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che, con il Signore, può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio”. “Se potessimo seguire questa strada, sarebbe una cosa tanto buona, tanto risanatrice, tanto liberatrice, tanto generatrice di speranza!”, l’augurio di Francesco: “Uscire da se stessi per unirsi agli altri – ha spiegato citando l’Evangelii gaudium – non solo fa bene, ma trasforma la nostra vita e la nostra speranza in un canto di lode”. “Ma questo possiamo farlo solamente se facciamo nostri i sogni dei nostri anziani e li trasformiamo in profezia”, ha concluso il Papa: “Accompagniamo Gesù ad incontrarsi con il suo popolo, ad essere in mezzo al suo popolo, non nel lamento o nell’ansietà di chi si è dimenticato di profetizzare perché non si fa carico dei sogni dei suoi padri, ma nella lode e nella serenità; non nell’agitazione ma nella pazienza di chi confida nello Spirito, Signore dei sogni e della profezia. E così condividiamo ciò che ci appartiene: il canto che nasce dalla speranza”.