“Un piano Marshall davvero in grado di contribuire a risollevare le sorti dell’Africa non potrà prescindere dalla definizione di regole che garantiscano una reale crescita del benessere delle popolazioni africane”.
Lo scrive padre Giulio Albanese, fondatore ed ex direttore dell’agenzia Misna, nell’editoriale pubblicato da Avvenire. “Nelle ore in cui il piano italo-libico per contenere i flussi di migranti viene lodato dalla Ue, ma incontra le forti critiche di molti organizzazioni umanitarie”, padre Albanese evidenzia “come altre strade siano possibili”. A partire da quelle proposte alcune settimane fa dal ministro tedesco per la Cooperazione, Gerd Müller, nel documento “Fondamenti di un Piano Marshall con l’Africa”. “Si tratta di una sorta di Road Map – spiega Albanese – che affronta il delicato tema della ristrutturazione e riqualificazione della cooperazione economica nei confronti dei Paesi africani” superando “l’approccio tradizionale donatore-beneficiario a favore di un partenariato economico basato sull’iniziativa imprenditoriale nelle sue molteplici espressioni”. Sono previste la creazione di piccole e medie imprese e l’erogazione di aiuti finanziari agli Stati africani subordinandola “all’adozione di riforme per il rafforzamento dello Stato di diritto, per la lotta alla corruzione e il rispetto dei diritti umani”. In attesa di una discussione sul piano, padre Albanese nota che “se da una parte è vero che lo sviluppo dell’Africa dipende dagli investimenti, dall’altra occorre riflettere seriamente sulle ripercussioni degli investimenti stranieri già in atto”. Perché “le crescenti privatizzazioni degli asset strategici in molti Paesi, non solo ha determinato una svendita delle commodity (fonti energetiche in primis), ma ha acuito a dismisura il fenomeno del land grabbing (l’accapparamento di terra) da parte di potenze straniere e/o di multinazionali”. Così “le ricchezze del continente vengono praticamente svendute con la complicità delle cleptocrazie di turno”. Inoltre, si sta verificando anche “la crescita del debito aggregato africano, vale a dire quello dei governi, delle imprese e delle famiglie, stimato attorno ai 150 miliardi di dollari”.
Per finanziare il debito – conclude Albanese – si è passati “dai tradizionali prestiti e da altre forme sperimentate di assistenza finanziaria alle obbligazioni, sia pubbliche che private, da piazzare sui mercati aperti”.