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Sant’Egidio alla Vibrata, ieri l’ultimo saluto a don Pacifico Forlini

 

 

Articolo di Sara De Simplicio

Foto di Andrea Bollettini/Elena Di Simplicio/Sara De Simplicio

SANT’EGIDIO ALLA VIBRATA – Una chiesa gremita, un’atmosfera densa di commozione, applausi scroscianti. Di certo, però, non basteranno le parole di un resoconto per esprimere ciò che si respirava ieri pomeriggio nella chiesa di San Giuseppe di Paolantonio, frazione di Sant’Egidio alla Vibrata nonché sede della parrocchia fondata nel lontano 1969 da don Pacifico Forlini, scomparso domenica 5 febbraio.

E lì, proprio nella sua parrocchia, ieri, martedì 7 febbraio, si è celebrato il rito funebre con il quale la comunità gli ha rivolto l’ultimo caloroso saluto. Don Pacì, infatti, è stato onorato come solo i grandi meritano e per lui, conosciutissimo e amatissimo, non poteva essere altrimenti.

Una vita, la sua, trascorsa a Paolantonio, di cui è stato primo parroco e poi anche parroco emerito e alla quale ha dedicato tutte le sue energie e le sue fatiche. Un sacerdozio lungo e intenso, fatto di grandi risultati, di grandi opere e di tanta, tantissima fede, condita da una buona dose di fermezza, entusiasmo, dolcezza e determinazione.

Prima della celebrazione, a ricordarlo ufficialmente suor Rosella da Pescara, nipote di don Pacifico, che ha ringraziato il Signore “per averci donato per tanti anni un sacerdote così, per la sua vita totalmente dedicata a Dio, per la sua sensibilità, per la sua ricchezza interiore celata dietro tanta umiltà, per la sua grandezza d’animo e la generosità del suo cuore”.

Un uomo d’altri tempi, insomma, che tanti hanno voluto salutare e ringraziare, anche se per l’ultima volta. Alla cerimonia funebre erano, infatti, presenti oltre a tutti i sacerdoti della vicaria di S.Maria in Montesanto e ad altri che lo hanno potuto apprezzare, anche i due vescovi della diocesi di San Benedetto-Ripatransone-Montalto, quello emerito Mons. Gervasio Gestori e quello in carica Mons. Carlo Bresciani.

A quest’ultimo il compito dell’omelia nella quale il Vescovo ha sottolineato la “fecondità” della vita di Don Pacì, della sua presenza silenziosa ma efficace, discreta ma sempre e comunque incisiva.

“La vostra presenza qui è, innanzitutto, un vero atto di carità cristiana, ovvero accompagnare nella preghiera un fratello amato, che ha fatto tanto bene a questa parrocchia e alla nostra diocesi, che ha donato tutta la sua vita, lunghissima anche dal punto di vista sacerdotale, a costruire la Chiesa nell’amore di Dio secondo il compito che Lui gli aveva affidato. Inoltre, questo di oggi è anche un atto di gratitudine a Dio e allo stesso don Pacifico: una vita, la sua, veramente compiuta nella dedizione a Dio e alla Chiesa. Oggi abbiamo proclamato per lui il Vangelo delle Beatitudini: mi è stato detto, infatti, che anche lui era solito proclamarle nei funerali perché le amava sia come aspirazione personale, sia come stile di vita. Tra queste beatitudini noi vediamo nominati gli operatori di pace o, potremmo dire, “i pacifici”. E proprio Pacifico era il suo nome: mi piace far riferimento a questo per dire che fu un uomo di pace: incontrarlo e parlare con lui infondeva serenità e fiducia e aiutava a guardare la vita con speranza, con positività.

E allora la domanda che oggi dobbiamo porci è: “dove trovava don Pacifico questa sua capacità di portare serenità e di essere portatore di pace anche nella realtà della sua parrocchia?” La risposta non può che essere una, e cioè nella sua profonda fede. Questa era la sorgente che lo ha portato anche ad essere costruttore di comunità. Paolantonio, lo sappiamo, è infatti un po’ la sua creatura, a cui ha dedicato quasi tutta la vita e la stragrande maggioranza delle sue energie. Voleva, infatti, costruire una comunità cristiana in obbedienza al comando che il Signore gli aveva affidato nel ministero sacerdotale e in quello di pastore. E in questo è stato anche aiutato da voi fedeli perché lo avete compreso, lo avete accompagnato, lo avete ricambiato. E la vostra presenza numerosissima dice molto proprio dell’affetto profondo che più volte ho potuto constatare nei suoi confronti. Un uomo sempre in servizio, che anche da anziano ha dedicato il suo tempo alle confessioni, con una serenità e una disponibilità, potremmo dire, a tempo pieno. Don Pacifico è dunque la testimonianza concreta della beatitudine di un sacerdote che ha creduto alla Parola, l’ha ascoltata e l’ha messa in pratica.

Per cui, quando Gesù dice “Beati coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica”, credo che questo possa essere applicato certamente a  don Pacifico che aveva la “passione” della Parola di Dio, di farla ascoltare, di comunicarla e di cercare di farla entrare nelle vostre anime.

Egli, dunque, ci ha indicato la strada per quella beatitudine che traspariva dal suo volto;  e, poiché ce l’ha indicata e ci ha manifestato che quella via è una via sicura perché lui l’ha percorsa, don Pacifico ci ha dimostrato che percorrendola si dà vero compimento umano e sacerdotale alla propria vita. Questa è la verità del Vangelo: quando si percorre questa strada le beatitudini diventano esperienza di vita.

Don Pacifico era un sacerdote, e lo è stato fino in fondo, un sacerdote che amava la chiesa perché amava la sua comunità. Più volte negli incontri (brevi purtroppo) che ho avuto con lui, lo si percepiva dal modo con il quale parlava di Paolantonio, dal modo in cui brillavano i suoi occhi. E’ fuori dubbio: amava la sua comunità e l’ha seguita certamente anche con intensità di preghiera e di intercessione.

Ed oggi noi dobbiamo cogliere gli insegnamenti che ci ha lasciato. Non dobbiamo pensare che tutto termina con la sua vita terrena: certamente non termina per lui perché noi crediamo nella risurrezione e lo affidiamo nelle mani di Dio ma non termina neanche per noi  perché spetta a noi raccogliere ciò che lui ha seminato e farlo germinare. Don Pacifico non ci sarà più ma i suoi insegnamenti restano validi, come ciò che lui ha fatto per costruire questa comunità, per costruire le vostre famiglie, la vostra personalità cristiana. Tutto questo resta, resta vero, resta autentico e il primo modo per dire grazie è far tesoro degli insegnamenti ricevuti, cioè far trasparire che il suo lavoro, le sue fatiche, le sue preghiere, il suo ministero non sono stati vani.

Cari fedeli, fate quindi tesoro dei suoi insegnamenti, soprattutto di quelli di fede perché è nella sua fede che c’è il segreto della sua vita e della nostra vita, cioè in quell’affidarci al Signore, nel credere alla sua Parola. E Don Pacì ci ha indicato quella strada, ci ha consigliato di percorrerla, di non abbandonarla visto che è la strada della vita, la strada della beatitudine, la strada che porta a quei “pascoli erbosi” di cui abbiamo parlato nel salmo responsoriale.

In questo momento, dunque, preghiamo il Signore con una preghiera di suffragio: chiediamogli di accogliere questo nostro fratello sacerdote tra le Sue braccia, visto che è stato il desiderio che lo ha accompagnato per tutta la vita, di dargli quindi compimento donando pace a lui e aiutando anche noi ad essere sempre più quella comunità cristiana che don Pacifico ha desiderato costruire con tutta la sua vita. Anche noi, come lui, dobbiamo infatti essere costruttori di pace, sempre e ovunque, per costruire insieme una comunità del Signore nella quale si possa sperimentare la beatitudine non solo personale ma anche comunitariamente. Preghiamo, dunque, che il Signore, possa accogliere, insieme a don Pacifico, anche la nostra preghiera e il nostro suffragio e che ci venga in aiuto affinché il nostro cammino tracciato da lui possa continuare con fecondità di vita”.

Nella preghiera dei fedeli al microfono,invece, il sindaco di Sant’Egidio alla Vibrata, Rando Angelini, che ha ringraziato il Signore per aver donato alla società civile santegidiese “un leale collaboratore”, pregandolo anche “di donarci ancora tanti altri sacerdoti formati alla dottrina sociale della Chiesa per il bene comune”; con lui anche uno dei fedelissimi di don Pacì, Berardo, che ha espresso gratitudine a Dio per “questa guida amorevole e sicura che con l’ingegno del suo lavoro pastorale ha onorato e servito il Padre ogni giorno della sua vita amando il Centro anziani e gli anziani, l’Unitalsi e i malati, la Caritas e i poveri, i bambini e i giovani”.

Al termine, invece, le parole del parroco attuale di Paolantonio, don Marco di Giosia: “con te, don Pacì, abbiamo fatto tante feste e con te stavamo pensando già a quella del centenario. Oggi, però, stai partecipando alla festa più importante, quella che non finisce mai, quella del Regno dei Cieli”.

Ad attendere la salma fuori dalla chiesa una moltitudine di fedeli (provenienti anche dall’auditorium sottostante la chiesa nel quale è stato possibile seguire tramite monitor il rito funebre) e il Corpo Bandistico di Ancarano che, con la sua musica, ha accompagnato il corteo funebre da piazza Giovanni XIII fino all’incrocio con viale Kennedy.

Momenti solenni, forti ma allo stesso tempo familiari e calorosi…un po’ come il caro e indimenticabile don Pacì che, proprio con la sua straordinaria semplicità mista ad una dignitosa solennità, è riuscito a conquistare il cuore di molti che, di certo, mai lo dimenticheranno. Perché gli anni, sì, passano ma la storia no… e di generazione in generazione essa verrà tramandata e onorata, in memoria dei suoi protagonisti.