“Laici, ministerialità e formazione permanente”. Sono queste le tre parole d’ordine su cui si gioca il futuro del “dialogo” tra teologia e pastorale. Ne è convinto don Andrea Toniolo, responsabile del Servizio Cei per gli studi superiori di teologia e di scienze religiose, che traccia per il Sir un bilancio del Convegno nazionale delle facoltà teologiche e degli Issr, svoltosi nei giorni scorsi a Roma sul tema: “Quale rapporto fa teologia e pastorale? Il ruolo delle Facoltà teologiche e degli Issr nelle chiese locali e nella società”.
Teologia e pastorale, dopo il convegno, sono più vicini, o non è ancora scongiurato il rischio dei “binari paralleli”?
Direi che il “percorso di avvicinamento” è iniziato. Da una parte, infatti, è maturata la consapevolezza che la teologia è al servizio della missione della Chiesa, non un sapere accademico autoreferenziale. Dall’altra la pastorale e la vita della Chiesa hanno bisogno di tener conto della complessità culturale e religiosa, delle trasformazioni che sono in atto, e di portare avanti una riflessione seria sulla necessità di preti e laici preparati ad affrontare le sfide.
Non è possibile che la missione della Chiesa sia una semplice ripetizione di progetti e gesti del passato.
Quali i percorsi concreti suggeriti dagli “addetti ai lavori”?
La prima sollecitazione è quella del rinnovamento dei metodi educativi e formativi. A livello didattico, è importante saper coniugare bene non solo la trasmissione di contenuti e di conoscenze, ma anche la cura delle relazioni educative, attraverso l’attenzione al soggetto, alla persona, allo studente. Anche le istituzioni teologiche devono rinnovarsi nei loro metodi di insegnamento, nella relazione tra docente e studente, nelle diverse forme di apprendimento e di formazione: laboratoriali, seminariali, legate alla prassi. E’ la cosiddetta “terza missione”.
In che cosa consiste?
Tutte le istituzioni accademiche hanno due missioni classiche: promuovere i saperi universitari, attraverso la didattica e la ricerca. Ma esiste anche una “terza missione”, che consiste nel
mettere in rapporto tali istituzioni con l’altro, con l’esterno, con il territorio: è un compito che riguarda le istituzioni civili, ma anche la pastorale, perché un’istituzione cresce nella misura in cui dialoga con il mondo esterno e costruisce con esso un percorso formativo.
Qual è, allora, la “terza missione” degli Issr e delle facoltà teologiche?
Aprirsi di più al territorio, perché le istituzioni teologiche siano rilevanti ed efficaci a livello formativo e diventino ‘centri polifunzionali’ per il territorio stesso.
Vanno individuati, quindi, percorsi concreti e costruiti in maniera sinodale e sinergica con enti ed uffici pastorali, per un maggior lavoro di sinergia tra istituzioni teologiche e realtà locali. Nelle nostre comunità, ad esempio, sono già in atto forme di collaborazione tra Issr e Uffici pastorali – con la pastorale giovanile, la pastorale familiare, l’università – ma si tratta di esperienze ancora troppo isolate. Da incentivare, inoltre, le collaborazioni con le università pubbliche, su temi quali il dialogo interreligioso, il dialogo tra culture, il dialogo tra scienza e fede.
Durante il convegno, si è parlato a più riprese del ruolo dei laici, da promuovere con “nuove ministerialità” e senza lasciarsi tentare da nuove forme di “clericalismo di ritorno”. Quale deve essere la loro autentica fisionomia?
Come istituti teologici e Issr, il nostro primo contributo è offrire una riflessione seria sulla missione della Chiesa oggi, cercando di riflettere anche sulle nuove forme di ministerialità laicale, cioè sul servizio non svolto solo in maniera occasionale o lasciato alla buona volontà ma che assume forme stabili, continuative, che richiedono una preparazione e hanno bisogno del riconoscimento della Chiesa. Questo tipo di discernimento è necessario, per evitare sia di cadere nel clericalismo – molto diffuso – che fa dei laici delle “copie” dei sacerdoti, sia nel pericolo opposto del “laicismo”, che consiste nel mettere tutto in mano ai laici impoverendo così la figura del ministro ordinato.
Quali nuove forme di “ministerialità” possono svolgere i laici?
Nella Chiesa esistono già nuove forme di ministerialità: penso a tutti quei laici che accompagnano, sostengono, aiutano il discernimento nelle vicende delle famiglie, o a quelli che lavorano con i giovani affiancandoli nelle loro scelte di vita e di fede. C’è poi la forte necessità di persone preparate per la dottrina sociale della Chiesa, per la cura della dimensione sociale della fede, a partire dall’ascolto della povertà.
Non è più possibile oggi affidare alla buona volontà l’evangelizzazione: ci vuole anche una formazione adeguata.
Nella riflessione sulla ministerialità laicale, a cui gli istituti teologici possono offrire il loro contributo specifico, credo si debba poter anche arrivare ad alcune figure di servizio pastorale affidate a laici remunerati, per la consistenza, la dedizione a tempo pieno dedicata a tale servizio. Basterebbe anche solo che negli Uffici di Curia si potesse assumere o valorizzare chi si è laureato in teologia o scienze religiose.
Anche l’Irc, oggi, è affidato in gran parte ai laici…
L’insegnamento della religione è un ministero ecclesiale vero e proprio: oltre alla formazione teologica e al titolo accademico, per poterlo esercitare è necessaria infatti l’idoneità, cioè un mandato da parte della Chiesa. Un insegnante di religione è remunerato dallo Stato, ma alle spalle ha anche un impegno nella Chiesa. Deve possedere non solo una formazione nozionistica, intellettuale, ma anche una buona relazione pedagogica, in quanto svolge un lavoro dove la relazione educativa è fondamentale.
Nella scuola, chi insegna religione non deve infatti padroneggiare esclusivamente le proprie materie: ha un ruolo di “regia” anche in rapporto alle altre discipline.