DIOCESI – Lectio delle Monache Clarisse del monastero Santa Speranza in San Benedetto del Tronto sulle letture di ieri, domenica 12 febbraio.
C’è un “ritornello” che caratterizza, questa domenica, il parlare di Gesù ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto dagli antichi…ma io vi dico…».
Siamo di fronte ad un Dio rivoluzionario, che vuole rompere con il passato?
Risponde Gesù stesso alla nostra domanda: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento».
Gesù non è un sovvertitore, non è un sobillatore di popolo ma colui che riprende ad uno ad uno i precetti della legge di Mosè per svelarne il senso profondo, colui che arriva fino al loro “cuore” togliendo da esso l’incrostazione delle tradizioni umane che ne avevano smorzato lo splendore.
Che cosa significa concretamente tutto ciò? Continuiamo a leggere: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei cieli». Scribi e farisei, coloro che, come spesso facciamo oggi anche noi, si costruivano una millimetrica e puntualissima serie di leggi così da poter dire a Dio, come ad un irreprensibile funzionario “ho fatto tutto, non ho sgarrato!”. Una sorta, cioè, di grande calcolo con Dio, conteggi, punti, guadagni e debiti, ricompense, punizioni da sommare e sottrarre per ottenere il risultato finale del “condannato o salvato”.
Gesù ci chiede una “giustizia superiore”, ci chiede di fare un passo in più, di prendere in mano la nostra fede, il nostro credo, la nostra vita, perché trovino il loro centro e il loro fondamento in una relazione di libertà con Lui, perché possiamo tornare a vivere e testimoniare il primato della relazione e non il primato del rito, della formalità, della pura norma.
Questo vuol dire che l’obbedienza alla legge, che comunque Gesù chiede, non è necessità, non è costrizione, ma esercizio di libertà all’interno di una relazione di amore.
«Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua; là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà»: così scrive l’autore della prima lettura, tratta dal libro del Siracide.
Il Vangelo non è un manuale di istruzioni, non ha un indice da consultare per trovare velocemente risposte, soluzioni alle situazioni o esperienze che ci troviamo a vivere. Non è un testo da studiare per affrontare, giorno dopo giorno, l’esame davanti a Dio. Il Vangelo interpella la nostra coscienza, la nostra intelligenza, la responsabilità del nostro agire.
Non è Dio che condanna, e non è Dio che premia perché la legge del Signore chiede una obbedienza libera, un consenso amoroso. Dio ha dato all’uomo un cuore per discernere il bene e il male, ma sta all’uomo la scelta: in questa obbedienza libera a Dio o nel suo rifiuto, egli diventa artefice del proprio destino.
Ed è questo il volto della vera sapienza cristiana, della sapienza di coloro che San Paolo, nella prima lettera ai Corinzi, definisce «perfetti», maturi, adulti nella fede. Tutti coloro che, come leggiamo nel Salmo, guardano agli insegnamenti del Signore come possibilità di vita e non come burocrazia da adempiere e soddisfare.