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Lettere al Direttore, “Coraggio, carissimo. L’Ancora ha ancòra bisogno della tua penna e del tuo cuore”

DIOCESI – Nonostante le molte sollecitazioni di continuare il mio interesse per “l’Ancora” attraverso l’edizione on line ho preferito fare il pensionato, passando il tempo a riordinare il mio studio.
Tra le tante carte, questa mattina, ho trovato un biglietto, gelosamente conservato, di Sua Ecc. Mons. Giuseppe Chiaretti, indimenticabile nostro primo vescovo che, in un momento di difficoltà, alcuni anni fa,  così mi esortava: “Coraggio, carissimo. L’Ancora ha ancòra bisogno della tua penna e del tuo cuore”.

Ed allora eccomi qui, alla maniera di Quintiliano, a portare il mio contributo. In Redazione mi suggeriscono “Lettere al Direttore”, spero di essere all’altezza di questo compito. Mi introduco rispondendo ad un lettore di facebook  che segnalava un errore su San Biagio patrono dei funai, essendo il Santo interessato specificatamente alla gola.

Ricerca storica interessantissima anche perché il suo martirio data il IV secolo nel groviglio delle situazioni venutesi a determinare durante il periodo dell’Editto di Milano 313 nella rivalità tra Costantino e Licinio. Più che documenti qui, come il nostro Santo Patrono Benedetto, gioca molto la tradizione  ed una Passio da far conoscere San Biagio nel mondo cristiano tanto che sono molti e moltissime categorie che lo hanno scelto come protettore.

Con i funai il riferimento riguarda i pezzettini di fibra della canapa ( la rèschie)che, se ingoiati diventavano  quasi impossibile tirarli fuori. Il timore era rivolto verso i bambini  (i ci) che fin dalla tenera età erano messi a girare la ruota. La memoria fatta in questi giorni è lodevole, ma attenzione a non tramutarla in un gioco. Dappertutto e in particolare nel fossato dell’Albula si potevano trovare sentieri di 33 metri che il funaio percorreva decine e decine di volte al giorno , dopo aver indossato intorno alla cintura un fascio (nu nucchie) di canapa. Il cigolio delle rotelline con la scanalatura (girelle) si mescolava agli improperi  verso i ci che spesso si distraevano.

L’alternarsi delle stagioni li vedeva sempre allo stesso modo, facili prede delle malattie più debilitanti. La tisi era la malattia più diffusa.

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