“L’atteggiamento verso chi ha sperimentato la fragilità del proprio amore deve essere capace di integrazione e privo di sentenze di condanna, anche nei confronti di chi ha acquisito una nuova unione”.
A ribadirlo è monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, che nel discorso rivolto alle Figlie di Maria Ausiliatrice ha citato le parole di Benedetto XVI e quelle di Papa Francesco, che nell’anno giubilare appena trascorso ha esortato la comunità ecclesiale ad adottare verso i divorziati risposati e, in generale, le famiglie fragili e ferite “una prospettiva meno giudicante e più luminosa, attraverso il collirio della misericordia, che da sempre ha rischiarato lo sguardo dei credenti”. “Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle”, ha ammonito Galantino sulla scorta dell’Amoris Laetitia.
“Nell’accompagnare le coscienze – ha aggiunto – il segreto per evitare le crisi di panico dinanzi al cambiamento culturale che stiamo vivendo, è uno sguardo nuovo sulla caducità dell’uomo”. Di qui la necessità – ha concluso – di “dare nuovo spazio al genio e alla sensibilità femminile”, andando oltre sia la “sterilità del femminismo che, partendo dalla legittima necessità di restituire dignità alla donna, l’ha posta in una continua competizione con il mondo maschile finendo per farle perdere la sensibilità femminile e rinchiuderla tragicamente in alcuni tratti virili”, sia il “clericalismo che talvolta colpisce anche i laici, quando diventano dei ‘preti mancati’ o quando odorano più di sagrestia che di famiglia”.
Il Vescovo inoltre ha citato la sempre più diffusa “prassi della convivenza” che precede il matrimonio, a causa della “paura del per sempre”, ed ha esortato a chiedersi: “In quanti uomini e donne di questo tempo il sogno nuziale trova un’adeguata accoglienza e gli opportuni aiuti da parte della società civile e della stessa Chiesa?”. Nei casi del matrimonio solo civile o della semplice convivenza, per Galantino “occorre saper osare, offrendo le linee per configurare il salto da una certa chiusura e applicazione meccanica delle norme, quindi di esclusione, a un atteggiamento di apertura e di integrazione”. Per il segretario generale della Cei, “l’impressione è che, al momento, la comunità cristiana non è in grado di intercettare i suoi figli più giovani dopo la Cresima, che costituisce di fatto per molti il sacramento del ‘congedo’ dalla vita cristiana. Alcuni poi in parte tornano in parrocchia, ormai trentacinquenni, per chiedere, spesso dopo un lungo tempo di convivenza, il matrimonio. C’è un vuoto di accompagnamento pastorale da colmare”. “Se è vero che i conviventi hanno reso pubblico il loro amore, ma nello stesso tempo hanno reso manifesti i loro dubbi e le paure nel vivere in pienezza quella relazione, come mostrare loro il sacramento delle nozze come chiamata a libertà?”, si è chiesto Galantino, secondo il quale “la parola chiave è accompagnamento e chiede di spalancare le porte a una rivoluzione nelle nostre parrocchie”, da parte di una “Chiesa in uscita” capace di “andare i soliti recinti” e di “ridestare la nostalgia del sacramento in cui, attualmente, non ne avverte l’esigenza”.