Una Chiesa più conforme al Vangelo e ai segni del nostro tempo. Prosegue l’opera di riforma di Papa Francesco, un processo irreversibile, con buona pace di chi ancora è scettico o dubbioso. In questo cammino Bergoglio gode di un grande sostegno. Certamente è rinfrancato dalla comunione e dall’affetto – con modi ed espressioni diverse – delle Chiese particolari. Ciò che più sorprende, però, è il “conforto” che giunge dalla preghiera non solo della Chiesa che lo circonda, ma soprattutto di tante persone semplici che vivono nelle “periferie” di tutto il mondo, “luoghi non solo fisici”.
La comunità sta pregando per Pietro.
Proprio come avveniva nella Chiesa delle origini. Molti racconti degli Atti degli Apostoli ne danno testimonianza. Si pensi, ad esempio, all’ultimo episodio della vita di san Pietro: la sua carcerazione per volere di Erode Agrippa e la sua liberazione per l’intervento dell’Angelo, alla vigilia del processo a Gerusalemme. Il racconto è segnato dalla preghiera, che univa tutte le “periferie” (le piccole comunità), non solo il centro della cristianità (cfr At 12,5).
Chi oggi fatica a comprendere, dovrebbe volgere lo sguardo proprio alle “periferie”.
Bergoglio ci ha abituati a non considerare come punto di riferimento il centro, ma ad allargare l’orizzonte verso gli emarginati, gli esclusi, i poveri, i senza voce, gli elusi dai grandi circoli di pensiero. Forse è proprio questa la fatica più grande di chi continua a contestare, osteggiare o denigrare l’operato di Francesco.
“Non lasciamoci rubare il Vangelo!”, continua a ripetere il Papa, esortando la Chiesa a un movimento di uscita da sé, a una missione centrata in Cristo, all’impegno verso i poveri.
Un invito che offre una grande lezione per tutti: non restare fermi nei propri retaggi, ma muoversi, aprirsi allo spostamento, alla conversione, al cambio di paradigma per impedire un atteggiamento ripiegato. Non è un attacco a chi la pensa diversamente, che rappresenta sempre una ricchezza, ma un invito al cammino scandito dal discernimento e, soprattutto, dalla misericordia. Perciò hanno colpito molto in tutta Italia, e non solo, quei manifesti affissi lo scorso 4 febbraio a Roma. Un fatto per il quale “il silenzio – ha scritto la presidenza della Cei in una nota di stima e gratitudine al Papa – sarebbe la risposta migliore”.
Anche perché chi ancora si ostina a non capire il percorso della misericordia, è come se rinnegasse in qualche modo il “mistero” più grande della fede.
La misericordia, infatti, è grazia; è nient’altro che l’Incarnazione del Verbo, il mistero totale di Cristo. Monsignor Marcello Semeraro, vescovo di Albano e segretario del Consiglio di cardinali, sostiene – nel volume “Le opere di misericordia. Centro della nostra fede” (Lev) – che la misericordia è il “principio architettonico” di questo Pontificato. È mistero fondamentale tratto dalla fede.
Questa è la misericordia per i cristiani.
Non qualcosa di astratto, un pensare e neppure semplicemente un volere, un sentimento, ma è sempre un “agire”, è qualcosa “che si fa”, come conclude la parabola del Samaritano. La misericordia non evoca idee, ma esperienze vissute. Proprio perché ad essere chiamata in causa è la stessa storia della salvezza. Difficile da accettare? È la storia della nostra fede.