di Bruno Desidera
ECUADOR – La revolución ciudadana dell’Ecuador e la narrazione del buen vivir, di cui tutto il mondo aveva parlato, sono appese a un filo, esile quanto un incertissimo ballottaggio (peraltro ancora da confermare). Dopo dieci anni di leadership incontrastata da parte di Rafael Correa, colui che si candida a suo successore, l’ex vicepresidente Lenín Moreno, rischia seriamente di mancare di un soffio la vittoria al primo turno. Non gli serve, per la legge elettorale ecuadoriana, superare il 50%; gli basterebbe andare oltre il 40% e distaccare di almeno dieci punti il secondo arrivato. Al 93% dello scrutinio, che procede molto lentamente, Moreno resta inchiodato al 39,13%, un numero che pare consolidarsi, anche se si attende lo spoglio dei voti esteri. Il ballottaggio con l’ex banchiere liberista Guillermo Lasso (attualmente 28,42%) è dunque sempre più probabile. E sarebbe un ballottaggio all’ultimo voto. Lasso avrà infatti l’appoggio esplicito della centrista Cynthia Viteri, al momento attestata al 16,17%. Moreno spera invece di contare sull’appoggio di Paco Moncayo, socialdemocratico ex sindaco di Quito, al momento al 6,84%. Intanto le piazze di Quito e Guayaquil, piene di sostenitori di Lasso, che protestano preventivamente contro eventuali brogli, raccontano di una clima politico radicalmente mutato.
Crisi economica e corruzione penalizzano la sinistra. Che per Moreno non sarebbe stata una passeggiata era ormai chiaro da mesi. Da tempo i sondaggi registravano risultati ben diversi rispetto a quelli raggiunti per tre volte da Correa, l’ultima volta (quattro) anni fa con il 57 per cento. Il presidente uscente, che di tutti i leader socialisti sudamericani è sicuramente il più preparato (è laureato in economia) e l’unico a dichiararsi esplicitamente cristiano, avrebbe forse rivinto se si fosse ripresentato. Ma, contrariamente ai suoi “colleghi”, non ha ha voluto (o potuto) cambiare per se stesso la Costituzione. Così, la riforma che prevede l’abolizione del tetto dei due mandati (inizialmente stabilito dalla Costituzione approvata nel 2008) entrerà in vigore solo da aprile, e Correa pare intenzionato a trascorrere i prossimi anni in Belgio, Paese di nascita della moglie. I maligni parlano di fuga, visti i numerosi casi di corruzione in cui il suo Governo sarebbe rimasto invischiato. È toccato così a Lenín Moreno. Durante i primi anni della presidenza Correa è stato il suo vicepresidente. Poi le loro strade si sono divise. Spiega Damiano Scotton, padovano di Camposampiero, che da anni vive nella città ecuadoriana di Cuenca, dove collabora con la locale Università ed è docente all’istituto Dante Alighieri: “Moreno è stato un vicepresidente molto amato, ma a un certo punto qualcosa si è rotto con Correa. Ha lasciato il Paese ed è stato il delegato delle Nazioni Uniti per i diritti dei disabili. Egli stesso è disabile e si muove in carrozzina. Dubito che fosse il candidato preferito da Correa, ma era l’unico nome popolare e spendibile, non sfiorato da scandali e corruzioni, in particolare dagli scandali PetroEcuador e Odebrecht”. Quest’ultima vicenda riguarda una grande impresa brasiliana di costruzioni, Odebrecht appunto, che secondo le indagini della magistratura avrebbe distribuito tangenti ai governanti di mezzo Sudamerica. Ha pesato poi la situazione economica:
“Correa ha realizzato un programma di riforme sociali, ma il problema è stata la loro sostenibilità. Ad un certo punto la situazione economica è peggiorata, come nel resto del Continente. In questo momento la situazione è drammatica, il lavoro scarseggia, i prezzi sono aumentati”.
Salgono così le quotazioni di Guillermo Lasso, ex presidente del Banco di Guayaquil. “Qui – racconta Scotton – viene a volte paragonato a Berlusconi. Si era candidato anche quattro anni fa ed era stato seccamene sconfitto da Correa. Il suo programma oscilla tra il populismo e il liberismo, vuole dare comunque più spazio alla libertà d’impresa”.
La Chiesa chiede più libertà. La Chiesa ha seguito con interesse la campagna elettorale, senza fare scelte di campo. Anche se con diverse sfumature e sensibilità (il presidente uscente resta comunque apprezzato soprattutto dal cattolicesimo di base, da molti missionari) è generalmente condivisa l’insoddisfazione per l’ultimo mandato di Correa e per i progetti estrattivi affidati a grandi imprese cinesi. Spiega l’arcivescovo di Portoviejo, monsignor Lorenzo Voltolini: “Nei primi sei anni di governo, accompagnati da un prezzo del petrolio elevato e da una politica di apertura verso le minoranze, le diversità e i più bisognosi, abbiamo avuto una pioggia di proposte, promesse, ma anche di opere concrete… Anni in cui il Governo Correa si è meritato l’apprezzamento del mondo intero. Ma negli ultimi quattro anni, senza l’aiuto del prezzo del petrolio, in mano a creditori sempre più affamati e desiderosi di mettere le mani sulle ricchezze del Paese, il Governo è diventato sempre più lontano dal popolo. È aumentata la forza e il controllo della polizia nel Paese.
Personalmente stimo molto il presidente Correa per le sue capacità, per il suo lavoro instancabile e per le intenzioni e ispirazioni realmente sociali ed anche cristiane che ha voluto perseguire. Purtroppo la linea politica che ha abbracciato e la quantità di approfittatori ed ideologi senza grandi ideali che lo hanno circondato, hanno troncato e rovinato il progetto iniziale”.
Mons. Voltolini ci riassume le principali richieste della Chiesa ecuadoriana, espressa durante la campagna elettorale: “In primo luogo la libertà, l’assolutismo ideologico e sociale priva la gente della sua libertà e capacità critica. Poi la sussidiarietà. Infatti lo Stato padrone finora non ha permesso a piccoli soggetti di fare le cose più elementari ed ovvie, a partire dall’educazione dei figli rispetto ai genitori; ancora, più imprese private o altre iniziative arricchirebbero le persone e la nazione. La terza richiesta è un più deciso no alla corruzione”. Da qui l’auspicio che avvenga “un cambio di rotta”, dentro una grande preoccupazione per la situazione dell’economia, determinata ormai dall’indebitamente smisurato dello Stato, soprattutto con la Cina. Una vera spada di Damocle per il Paese, con il rischio che la gente possa sollevarsi o iniziare un nuovo esodo verso il Nordamerica o l’Europa. In ogni caso, comunque vada, prevede mons. Voltolini, “dalle prossime elezioni non uscirà un’assemblea nazionale tanto soggetta al Governo come abbiamo avuto negli ultimi anni. E questo porterà benefici”.
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