«Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete […] Chi di voi per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? […] Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso».
Cosa succede a Gesù? Come possiamo accettare queste parole e non rimanere perplessi più che altro guardando alla vita nostra e di chi ci sta accanto, una vita caratterizzata da tante difficoltà quotidiane da affrontare, problemi da risolvere, sofferenza, povertà, bisogno…?
Ascoltiamo bene la Parola: non è un invito al fatalismo o alla passività, al disimpegno in attesa che la Provvidenza risolva al posto nostro i problemi. Né tantomeno un guardare disincantato al futuro per alleggerirci di ogni incombenza, responsabilità. Né di sicuro una fuga dalla realtà, a volte pesante e gravosa.
Dice ancora Gesù: «Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta».
Nessuna magia, ma l’indicazione, per ogni, uomo, di una modalità di porsi di fronte al mondo, alla vita, al Creatore.
Innanzitutto partiamo con una consapevolezza di fondo: quella di essere figli amati da un Dio che è padre e madre.
«Il Padre vostro celeste…», leggiamo ripetutamente nel Vangelo di questa domenica. «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai», scrive il profeta Isaia nella prima lettura.
Non si tratta di un atteggiamento “spiritualistico”, dimentico della dimensione del tragico e della sofferenza che attraversano il mondo ma della coscienza di filialità che unisce il credente al suo Creatore.
Considerando tutto ciò, il «non preoccupatevi» del Vangelo diventa adesione piena a quanto Gesù dice ai suoi discepoli: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
Non preoccuparsi, allora, non affannarsi, non significano “affidatevi a Dio e basta”, “incrociate le braccia tanto c’è Dio”, “pregate e tutto si risolve” … ma, certo, lavorate, impegnatevi, guadagnate il pane con il sudore della vostra fronte, “trafficate” i vostri talenti”, costruite la vostra vita, la vostra storia… vivete… ma agite, in tutto e sempre, nella piena e confidente certezza di un Dio che ci precede, ci accoglie, ci raggiunge, ci visita, ci fa destinatari della sua cura.
Essere amati, sentire di esistere per “Qualcuno” e non dover agire per “qualcosa”, sentire di esistere grazie a “Qualcuno” e non grazie a “qualcosa” … è una certezza che non ci “toglie nulla”, perché Dio non è un assicuratore che ci garantisce l’esenzione dal dolore e dalla fatica nella nostra vita. Ma è saper vivere guardando, ostinatamente, verso l’unico che può colmare il nostro infinito bisogno di pienezza.