Non è la prima volta che accadono fatti del genere però stavolta, purtroppo, ci sono di mezzo delle vite umane.
Ci piange il cuore per queste morti: non deve accadere che chi è costretto a tenere a denti stretti la vita in quelle condizioni finisce per perderla”.
Lo dice don Andrea Pupilla, direttore della Caritas diocesana di San Severo, nel cui territorio è il “gran ghetto” di Rignano Garganico, il villaggio di baracche con centinaia di lavoratori migranti nell’agricoltura, oggetto di sgombero dal 1° marzo per via di infiltrazioni della criminalità. Alcuni si erano rifiutati di lasciare la struttura, nel timore di perdere il lavoro e due uomini africani, originari del Mali, sono morti carbonizzati questa notte in un incendio. Si teme sia di natura dolosa. La Caritas di San Severo, in accordo con la Regione Puglia, sta accogliendo da qualche giorno in una struttura che si chiama “Arena”, gestita dalla Protezione civile, 54 lavoratori migranti, per cercare di decongestionare il ghetto. “Ci hanno chiesto di far sentire la cittadinanza vicina alla persone accolte – spiega don Pupilla – e noi stiamo ascoltando i bisogni di questi ragazzi. Hanno accettato la proposta di uscire dal ghetto però sono un po’ disorientati, non capiscono cosa sta accadendo: il loro bisogno più grande è il lavoro e lì lo trovano tramite i caporali”. Anche ieri circa 200 lavoratori migranti hanno protestato davanti alla prefettura di Foggia, chiedendo al prefetto di aspettare fino all’estate per lo smantellamento del ghetto, in modo che possano lavorare. “Ma questa è una sconfitta per tutti, perché vuol dire che i caporali sono capaci di dare più lavoro rispetto alla società”, commenta il direttore della Caritas di San Severo.
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