Nella prima Quaresima dopo il Giubileo, padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, traccia per il Sir un affresco su questo tempo forte dell’anno liturgico: l’altro è “una parola che si vede”, e Lazzaro oggi “non è più una persona ma un continente, se non addirittura un emisfero”. Guardarsi dal dio denaro, “grande Vecchio” falso e bugiardo che “si incarica di punire lui stesso i suoi adoratori”, l’antidoto alla corruzione.
È la prima Quaresima dopo il Giubileo della misericordia. Si può dire che questa parola risuoni oggi in modo nuovo, come “icona della Chiesa”, come l’ha definita Papa Francesco?
Certamente, dopo l’anno giubilare, la parola “misericordia” risuona in modo nuovo e diverso nella Chiesa; evoca gesti, atteggiamenti e una prassi ecclesiale ben precisa. L’esempio stesso del Papa ha indicato tutta una serie di applicazioni concrete, di ambiti nuovi e attuali in cui incarnare la beatitudine dei misericordiosi.
Prima ancora del dovere di essere misericordiosi, papa Francesco ha insistito sulla misericordia come dono di Dio all’umanità che ha assunto un volto umano in Cristo. La misericordia degli uomini e della Chiesa non è la causa, ma l’effetto della misericordia di Dio.
La parabola del servitore che, perdonato, non ha saputo a sua volta perdonare chi gli doveva cento miseri denari, ha fissato per sempre il rapporto che c’è tra le due facce della misericordia secondo il Vangelo.
La Quaresima è “un nuovo inizio”, ci ricorda il Papa nel Messaggio di quest’anno, in cui raccomanda il primato della Parola. In che modo la Scrittura può “rinnovare dal di dentro” le tre pratiche quaresimali tradizionali: il digiuno, la preghiera e l’elemosina?
Il messaggio di papa Francesco per la Quaresima è centrato sul rapporto tra la Parola che Dio rivolge a ogni persona attraverso il Vangelo e la parola vivente che è ogni fratello e soprattutto il povero e il bisognoso. Sant’Agostino definisce la parola “un sacramento che si ode” e il sacramento “una parola che si vede”.
Ecco, l’altro, ci ricorda il Papa, è appunto una parola che si vede.
Il ricco epulone non ha saputo vedere questa parola nel povero Lazzaro; badiamo, ci ammonisce il Papa, a non fare lo stesso anche noi con gli innumerevoli “Lazzaro” che ci sono alle nostre porte e per le nostre strade.
L’altro è un dono, mai “un ingombro”, si legge ancora nel Messaggio: a che punto siamo, secondo lei, con la messa in pratica delle opere di misericordia, corporali e spirituali?
Non si farà mai abbastanza in fatto di misericordia spirituale e corporale, anche perché i bisogni sono immensi e obbiettivamente superiori alle forze umane.
Il povero Lazzaro oggi non è più una persona ma un continente, se non addirittura un emisfero, l’emisfero Sud del mondo.
Questo non ci deve però far chiudere gli occhi sulla mole straordinaria di solidarietà che in forme diverse, religiose o laiche, è in atto nel nostro mondo occidentale, anche grazie all’esempio personale e ai continui appelli di papa Francesco. Si dice “il bene non fa chiasso e il chiasso non fa bene” e questo risulta particolarmente evidente nel campo delle opere di misericordia, soprattutto della misericordia spicciola e capillare.
Sentiamo continuamente parlare di scandali finanziari e di appropriazioni indebite, ma raramente delle tante, piccole o grandi, “espropriazioni” volontarie.
Denaro, “idolo tirannico”, ammonisce Francesco tornando su uno dei temi a lui più cari: la corruzione. Perché questa lotta necessaria è un messaggio che l’uomo di oggi è così restio a recepire?
Negli anni ‘70 e ‘80, per spiegare, in Italia, gli improvvisi rovesciamenti politici, i giochi occulti di potere, il terrorismo e i misteri di ogni genere da cui era afflitta la convivenza civile, si andò affermando l’idea, quasi mitica, dell’esistenza di un “grande Vecchio”: un personaggio scaltrissimo e potente che da dietro le quinte avrebbe mosso le fila di tutto, per fini a lui solo noti.
Questo “grande Vecchio” esiste davvero, non è un mito; si chiama Denaro!
Come tutti gli idoli, il denaro è “falso e bugiardo”: promette la sicurezza e invece la toglie; promette libertà e invece la distrugge.
Uomini collocati in posti di responsabilità che non sapevano più in quale banca o paradiso fiscale ammassare i proventi della loro corruzione si sono ritrovati sul banco degli imputati, o nella cella di una prigione. Per chi l’hanno fatto? Ne valeva la pena? Hanno fatto davvero il bene dei figli e della famiglia, o del partito, se è questo che cercavano? O non hanno piuttosto rovinato se stessi e gli altri? Il dio denaro si incarica di punire lui stesso i suoi adoratori.
Con l’invio dei missionari della misericordia, il Papa ha voluto dare ancora più centralità al sacramento della Penitenza: è uno dei successi del Giubileo, oppure c’è ancora bisogno di sensibilizzare i fedeli – e come – ad un maggior ricorso al sacramento?
L’atteggiamento verso il sacramento della riconciliazione rispecchia la tendenza oggi in atto in tutte le Chiese cristiane e nella pratica religiosa in genere. La confessione è praticata da un numero minore, molto minore, che in passato, ma quelli che vi si accostano lo fanno, in genere, con una convinzione maggiore di un tempo. Quello che, credo, bisognerebbe recepire dai numerosi appelli di papa Francesco è fare della confessione un segno di autentica conversione del cuore.
Ci sono peccati che noi sacerdoti quasi mai ascoltiamo menzionati in confessionale e che invece sono diffusissimi nella vita e una vera piaga della società: quelli, appunto, che riguardano il modo di gestire o di procurarsi denaro.
Speriamo che il commento che il Papa, nel suo messaggio quaresimale, fa della parabola evangelica non sia letto e ascoltato solo dai tanti Lazzaro, ma anche da qualche ricco epulone.
Speriamo anche che in questo momento di ripiegamento su se stessi e sugli interessi nazionali, noi europei, presi nell’insieme, ci rendiamo conto di non appartenere al mondo di Lazzaro ma a quello del ricco epulone.