Il metodo e la sostanza. L’Europa “a più velocità” è la strada concreta che si potrebbe percorrere; ma il punto fermo, l’obiettivo alto è il consolidamento e rilancio della “casa comune”. Dal minivertice svoltosi il 6 marzo a Versailles, che ha riunito i leader di Francia, Germania, Italia e Spagna, esce una rinnovata volontà di procedere insieme nella travagliata e insidiosa epoca globale. Hollande, Merkel, Gentiloni e Rajoy sanno benissimo che la costruzione europea è nata e si è storicamente sviluppata con il metodo dello stop and go, con un’alternanza di successi, fallimenti e nuovi passi avanti, e che oggi – il momento non è dei più felici – è minacciata da nazionalismi e crisi di varia caratura (economia, sicurezza, migrazioni…). Ma comprendono anche, come sintetizza la cancelliera tedesca, che “l’Unione europea deve essere un protagonista solido di fronte agli altri protagonisti della globalizzazione”. Stare insieme è una necessità, sulle modalità di realizzare l’“unità nella diversità” il confronto invece è aperto; così i quattro leader all’unisono fanno propria la linea dell’Ue a “geografie variabili”, che peraltro già esiste per euro, Schengen e altre cooperazioni rafforzate sancite da accordi e trattati. Il discorso dunque è chiaro: senza Europa non si procede; ma quale Europa?
Noi andiamo avanti. Il “padrone di casa”, François Hollande, ha invitato i “colleghi” per un summit tra i quattro maggiori Paesi rimasti nell’Unione, dopo lo sganciamento del Regno Unito (che qui, a Versailles, nessuno rimpiange). Il 9 e 10 marzo è previsto un Consiglio europeo a Bruxelles; il 25 marzo, a Roma, le celebrazioni per il 60° dei Trattati istitutivi della Comunità. Il quartetto vuole lanciare per l’occasione un messaggio inequivocabile: noi andiamo avanti,
vogliamo “approfondire” l’integrazione economica, politica e sociale
rimanendo aperti a eventuali futuri ingressi nell’Ue (i Balcani), e rafforzando le cooperazioni verso il resto del mondo (in primo piano ci sono Africa e Medio Oriente, i vicini problematici). Hollande, al termine dell’incontro, tra flash e sorrisi, parla di “un’Europa a più velocità”, con Germania, Italia, Francia e Spagna a tirare le fila, accettando la “responsabilità di tracciare la via per l’Ue”. “Siamo in un contesto in cui le incertezze e le preoccupazioni si moltiplicano – afferma –. Alcuni principi come lo stato di diritto e la pace sembrano essere in discussione”. A Roma dunque non si dovrà solo “celebrare il passato” perché “lo status quo non può essere la soluzione, soprattutto dopo il Brexit”. L’Ue ha compiti precisi verso i popoli del Vecchio continente: garantire sviluppo economico, sicurezza e difesa, tenere sotto controllo le migrazioni, guardare oltre i confini verso Africa, Siria, ma anche – e con preoccupazione – Stati Uniti, Russia, Ucraina.
Responsabilità comune. Incalza Angela Merkel, che chiama in causa le “cooperazioni differenziate”: “dobbiamo avere il coraggio di accettare che alcuni Paesi possano andare avanti più rapidamente di altri” per “continuare la costruzione europea”. Ha in mente una “Unione della prosperità che crea posti di lavoro”. Concreta, la cancelliera va al sodo delle preoccupazioni dei cittadini e aggiunge: “Serve una responsabilità comune e questa responsabilità ci sarà nella dichiarazione di Roma”.
Comunque la nuova Ue non sarà un club dei grandi e dovrà “restare aperta”
a quei Paesi membri che puntano a serrare i ranghi, cedendo quote di sovranità a Bruxelles per ottenere, secondo i principi di solidarietà e sussidiarietà, migliori risultati comuni. La conferenza stampa finale e le foto di rito tradiscono volti preoccupati: i populismi premono, i cittadini sono distanti dall’antico “sogno” dei Padri fondatori, e in vista ci sono diverse prove elettorali che possono segnare nuove imboscate: il 15 marzo urne aperte nei Paesi Bassi, tra aprile e maggio primo turno e ballottaggio per le presidenziali francesi, in autunno le elezioni in Germania. Con i governi di Italia e Spagna assai traballanti.
Ripartire dai popoli. Il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni, a sua volta riflette a voce alta sull’urgenza di una Ue “più integrata ma che possa consentire diversi livelli di integrazione”, perché “è giusto e normale che i Paesi possano avere ambizioni diverse e che a queste ambizioni ci siano risposte differenti”. Poi un’osservazione apparentemente ovvia, ma non banale visti i tempi:
“l’Unione deve ripartire dal popolo europeo”.
“Abbiamo bisogno di un’Europa sociale, che guardi alla crescita e agli investimenti. Un’Europa in cui chi rimane indietro non consideri l’Ue come una fonte di difficoltà ma una risposta alle proprie difficoltà”. Un’Europa amica e non matrigna, si potrebbe sintetizzare. Mariano Rajoy a sua volta rilancia: “l’Unione europea è una storia di successo. Sono stati 60 anni di pace e democrazia – argomenta il premier spagnolo –, per questo motivo occorre difenderla”. L’Ue27 è chiamata a “guardare verso un orizzonte più lontano e la Spagna è disposta ad andare più lontano, verso una maggiore integrazione”. L’impressione finale è ancora quella di un’Europa in mano alle cancellerie, alle decisioni dei governi più che dei popoli. Ma se questa è la strada più diretta…