I social network sono una realtà che fa parte della cultura. Gli uomini e le donne, soprattutto i giovani, li abitano permanentemente. Lì condividono pensieri, emozioni e conoscenze. Dunque la Chiesa non può mancare.
È un dovere di amore andare incontro all’uomo. Il Papa ha scelto di essere ancora più presente e, dopo Twitter, di aprire un profilo su Instagram per affiancare l’immagine alla parola. È il modo di prolungare il ministero petrino attraverso i nuovi media, accompagnando la gente.
Anche quanti non potranno mai venire in Vaticano o sono malati e impossibilitati a muoversi.
La parola di misericordia arriva così anche a loro”. Lo dice al monsignor Lucio Adrian Ruiz, segretario della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede, che ha partecipato nei giorni scorsi al workshop “Twitter Diplomacy at the Holy See” in Vaticano. Quanto agli insulti che si leggono sul profilo del Papa, mons. Ruiz aggiunge: “Gesù ha accettato gli sputi della gente, è stato crocifisso. Non si è fatto uomo per finta.
Ha sopportato la realtà umana: è stato molto più di qualche insulto su internet, lo hanno crocifisso. Se Gesù ha accolto la relazione con l’uomo, tanto più lo deve fare la Chiesa. Papa Francesco ci chiede continuamente di uscire, a costo di ferirsi nella missione. È vero che tanti commenti sono molto brutti, ma su 30 milioni di follower il numero è irrisorio. La maggior parte delle persone è felice di ricevere la carezza del Santo Padre”.
“Oggi non c’è nessun sistema che non si difenda. Fare hacker è diventato un gioco. Un tempo – conclude mons. Ruiz – era riservato ai geni. Adesso i ragazzi giocano con la violazione della sicurezza.
In Rete ci sono istruzioni per fare una serie infinita di azioni dannose. Se questo si fa programmaticamente, però, diventa un problema. Per questa ragione il Vaticano si protegge in modo permanente come fanno tutti gli utenti in Rete. Niente di misterioso: chi va in motorino utilizza il casco, chi sta in internet deve proteggere i collegamenti”.
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