di Jean-Dominique Durand
FRANCIA – L’Europa occupa un posto rilevante nella campagna elettorale per le presidenziali in Francia. Le argomentazioni dei candidati sono molto chiare. Appaiono dunque tre principali tipi di posizioni da esaminare.
La prima è l’opposizione assoluta all’Europa, con la volontà affermata di affossare l’Europa, di porre fine a tutte le conquiste europeiste realizzate, poco a poco, dal 1950 in poi, dalla Dichiarazione Schuman del 9 maggio di quell’anno e dai Trattati di Roma del 1957. Si tratta di chiudere, secondo questa posizione anti-Ue, una esperienza politica unica nella storia dell’umanità, quando nazioni in conflitto da secoli decidono di aprire la strada della riconciliazione, dell’amicizia, per costruire un destino comune. Si tratta di tornare indietro, al tempo dei vecchi nazionalismi e dell’odio tra i popoli. Questa è la linea interpretata dai candidati dei poli estremi. È, ad esempio, la posizione radicale di Marine Le Pen. Per la candidata dell’estrema destra tutti i mali della Francia vengono dall’Europa; propone allora un’unica soluzione: uscire dall’Unione europea e dalla moneta comune, tornare al vecchio franco, far esplodere l’Unione. L’altro canditato “estremista”, Jean-Luc Mélenchon, che si vuole nello stesso tempo erede di Robespierre e di Lenin, è poco più sfumato: propone in un primo tempo una “rifondazione democratica, sociale ed ecologica” dell’Unione; con un discorso germanofobo, cavalca anche lui le paure e l’Europa come la causa delle difficoltà che conosce una parte della popolazione. Il suo progetto sarebbe di bloccare il funzionamento delle istituzioni europee, e se la cosiddetta “rifondazione”, che vuole imporre a tutti “democraticamente”, fosse respinta, allora la Francia dovrebbe uscire dall’Unione. Gli estremisti si danno così la mano.
Altra posizione, è quella del vago europeismo portato dal candidato socialista, Benoît Hamon, e del candidato neogollista François Fillon. Difatti, non parlano di uscire dall’Unione, annunciano la loro volontà di migliorare il funzionamento delle istituzioni europee. Ma in realtà, il loro programma resta poco preciso, segnato per il primo dalla volontà di costringere l’Europa a una politica economica di rilancio e di ripresa del debito francese, e per il secondo da un liberalismo economico estremo. Tutti e due sono incompatibili con gli equilibri europei ed entrambi non nascondono la scarsa fiducia nei confronti della Germania, e lasciano intravvedere come la costruzione europea non faccia parte delle loro priorità. Non sono apertamente ostili all’Europa, ma sostengono un discorso per lo meno ambiguo.
In tale paesaggio piuttosto preoccupante per un’avvenire europeo della Francia e dell’Europa, emerge il candidato fuori dai partiti, ma di ispirazione socialdemocratica, Emmanuel Macron. Egli non esita a far gridare nei suoi meeting, dalla folla, “Europa! Europa!”. L’Europa è al centro del suo programma per la difesa, la fiscalità, l’educazione, il mercato unico, l’agricoltura, l’energia. Cerca di rilanciare il progetto europeo, per dargli un nuovo senso e mobilitare i popoli. L’adesione al suo progetto di due grandi militanti europeisti, ma che vengono da sponde diverse, il democristiano François Bayrou e il verde franco-tedesco Daniel Cohn-Bendit, conferma l’inserimento di Macron nella grande linea dei costruttori dell’Europa da Schuman, Adenauer e De Gasperi in poi. La sua elezione alla presidenza della Repubblica francese sarebbe indubbiamente un messaggio forte a favore di un’Europa rafforzata; rappresenterebbe un grande successo contro tutti i populismi e nazionalismi di destra e di sinistra che vogliono abolire settant’anni di storia europea.
L’Europa è ormai una posta in gioco assai importante nei dibattiti francesi. I programmi dei candidati sono molto chiari per permettere ai francesi di scegliere in piena coscienza, tra l’avventura, il proseguimento nella mediocrità e la delusione, o un nuovo slancio per far rivivere il “sogno” dei fondatori.
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