Di Carlo Gentili

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Questa settimana abbiamo intervistato Marco Marziali autore del libro “La quarta ballata”.

Romanzo raffinato, poetico, altamente coinvolgente. Ermetico e sconfinato, il libro rivela lo struggente e lucido percorso a ritroso nel tempo di una memoria individuale che diviene collettiva. Di tutti noi. Un piccolo paese diventa, così, il nostro Paese con le sue strade, la chiesa parrocchiale, la Collina madre, la casa dalle persiane rosse. In ogni luogo respira un ricordo, in ogni pietra un sogno, e in ogni angolo rimane una parte di noi. Gli innamoramenti , gli studi giovanili, i ricordi delle interminabili partite a tennis sullo sfondo di un piccolo cimitero di paese, con i suoi cerimoniali, le processioni, affondano con passi lenti nella ghiaia e nella coscienza macerata. La successione dei capitoli avviene descrivendoci mondi paralleli, quasi sconosciuti tra loro: la memoria suggestiva dei fatti del paese, evocata da un ritorno nei luoghi dell’infanzia, si alterna al mondo degli studi, dell’amicizia e della carriera del protagonista. Due mondi che si temono, che si guardano con occhi diversi, che procedono con passi, suoni, emozioni diverse e sconosciute. L’evocazione chimerica della musica di Chopin, accompagna ritmicamente ogni scena, permea ogni spazio, illumina ogni sguardo interiore.
La quarta ballata” è un romanzo indescrivibile. Una poesia intima ed illimitata da leggere con l’anima della memoria. Ogni periodo nasconde un mondo intimo e collettivo, ogni passo ci commuove e ci indica la vera Bellezza della vita.

Marco Perché si scrive? Per liberare, per liberarsi? Per aprirsi agli altri, per chiudersi in sé?
Per me la scrittura è un bisogno, come suonare un preludio di Bach al pianoforte ogni giorno, un bacio ai miei figli la mattina, uno sguardo dentro l’anima delle persone a cui voglio e ho voluto bene.
Se dovessi spiegare in poche righe il tuo pensiero artistico e il tuo approccio da scrittore ad un ragazzino, cosa gli diresti? Lo incoraggeresti a scrivere? Perché?
Questo è un piccolo frammento di un racconto che verrà pubblicato molto presto. “Tu cosa vuoi fare nella vita, suoni bene hai tante doti: cosa ti piacerebbe fare? – mi dice poi mio padre all’improvviso, dopo avere suonato l’ultima Pastorale di Zipoli. Sono sorpreso, non abbiamo mai parlato di questo, anche se ogni volta che scrivo qualcosa, lui raccoglie tutta la famiglia intorno a me perché ascoltino, mentre leggo. “Vorrei fare lo scrittore papà” – gli rispondo. Allora, senza rendersene conto, pronuncia una frase che ha un peso importante: lui che oramai si è rassegnato a patire il suo lavoro mattutino per poi scappare a casa a occuparsi di musica fino a mezzanotte e oltre. Mi dice: “Va bene. Cerchiamo però di rimanere con i piedi per terra!”. Si alza e va a sedersi di fronte al tavolo ottagonale, tornando alle sue “nostalgie”. Come si suona per qualcuno che ascolta così in genere si scrive per qualcuno che prima o poi leggerà.
Rimanere “con i piedi per terra” nella mia vita di medico mi permette di poter fare qualche salto verso il cielo. C’è un punto in cui superi la gravità che ti attira a terra, un attimo, lì senti qualcosa. Poi ricadi e non ti fai male perché sei vivo e vivi in mezzo agli altri.
Come nasce l’idea di scrivere un romanzo con luoghi, storie, sentimenti molto personali? Ti è costato interiormente?
Quando scrivo non penso mai ad un progetto iniziale, ma il tutto nasce e si sviluppa in un divenire continuo almeno fino alla prima stesura del manoscritto su cui poi lavoro con una stratificazione continua. Tutto quello che scrivo è sempre personale, ma trasfigurato. Non posso scrivere qualcosa che non nasca dalla mia interiorità.

Come definiresti il libro?
Un’autobiografia emozionale.

Nel tuo romanzo, il riferimento alla musica è pressoché costante. Componimenti musicali scelti in base al momento poetico/descrittivo. Ce ne parli?
Anche in questo caso non c’è mai una scelta premeditata. Alcuni pezzi sono parte della mia vita. È chiaro a chi ha letto il romanzo che il dualismo /dialogo tra Bach e Chopin mi caratterizza ontologicamente.

Il personaggio (ne “La Quarta Ballata”) che hai fatto più fatica a descrivere; e quello che ti ha fatto piacere descrive e a farlo conoscere a noi lettori.
Tutti i personaggi frutto di finzione nel romanzo – i tre amici universitari ad esempio- sono il risultato di una elaborazione di una parte di me. Tuttavia questa parte è nascosta. Occorre farla venire fuori senza inibizione prima di tutto davanti a se stessi, poi nasconderla di nuovo attraverso la scrittura.

Nei tuoi scritti è spesso presente la parola “commozione”, un concetto intimo, misurato, interiore, del tutto diverso da quello dei tempi attuali esagerato, esibito e mostrato esclusivamente a fini mediatici
La uso in senso etimologico. La commozione è un “turbamento provocato nell’animo da sentimenti di affetto, pietà, tenerezza, accorato dolore:…”. A questo proposito Chopin e mio padre insieme mi hanno insegnato molto.

Il tuo ricordo più bello, più affascinante, più emozionante legato a questo tuo primo romanzo o al tuo modo di fare arte in generale ….
Ogni volta che con Francesca leggiamo alcuni brani alternati a pezzi di Bach e Chopin eseguiti al pianoforte – è successo a Fermo, al Gemerli nella Hall dell’ospedale, in diverse sale di Associazioni culturali a Roma – minuto dopo minuto queste occasioni diventano momenti familiari e percepisco l’emozione di chi ascolta. È come stare intorno al caminetto sulla “collina madre” a leggere i miei temi di scuola o biografie romanzate di musicisti abbozzate da me durante le estati più belle della mia vita.
Scrittura come altruismo o arte come espressione individualistica? Come espressione personale o come impegno sociale?
La scrittura nasce sempre come atto individualistico. Poi diventa per gli altri nel momento in cui qualcuno legge quello che hai scritto e rumina il tuo libro dandone una interpretazione del tutto personale. Alla fine poi partendo dalla vita reale, con i “piedi per terra” è inevitabilmente impegno sociale.

Il tuo mondo di fantasia è popolato da …..
Musica e parole: il pianoforte di mio padre, le favole di mia nonna Linda, gli abbracci di mia madre dopo avermi messo in mano la borsa dell’acqua calda prima di andare a dormire; magari è inverno, è sabato sera e il giorno seguente mi sveglio con Bach, un tocco vellutato, le Suites francesi….

Chopin, Schumann e Bach vivono nei tuoi scritti. Una musica diversa (rock, lirica, folk, etnica) troverà mai spazio nei tuoi libri e nei tuoi pensieri?
Difficilmente, poiché questa musica non si trova nel mio “deposito archetipico”, in quella zona del cervello che innesca qualcosa, nel baule in soffitta pieno di bozze immaginarie di storie, di racconti, di poesie. Pensandoci bene forse qualche canto popolare, armonizzato da mio padre a tre voci, che parla del “tempo della mietitura”, eseguito dal coro folk da lui diretto alla fine degli anni settanta.

Arte e spiritualità nella tua opera. Spirito religioso o misticismo laico entrano nel tuo percorso artistico?
Anche questo aspetto dentro di me è in continua evoluzione. Ne “La Quarta Ballata” molto di questo argomento è contenuto nel dialogo tra Marco e Giulia, durante un afosissimo pomeriggio di Luglio nella città eterna, dove si parla di cristianesimo, senso etico, perseguimento laico del bene…Già nel secondo romanzo tutto questo acquisterà una tonalità molto diversa. Per quanto si viva una vita completamente laica, nella evoluzione del nostro pensiero occidentale non si può prescindere dal cristianesimo. Sicuramente la ricerca del padre è alla base di tutto e chi non ha provato su di sé l’amore di un padre potrà mai comprendere il messaggio di amore che Dio può avere per lui. I fanatismi nascono quando manca o è mancato questo amore, un amore che disegna i limiti e i confini del tuo essere integrato nella comunità di persone che ti circondano.
Proprio con una invocazione al Padre nel Posto Scriptum finisce “La Quarta Ballata”.

Pensi che l’arte possa incidere nell’educazione e nella cultura?
L’arte è educazione e cultura. E’ assurdo che nel nostro paese la Musica non venga insegnata adeguatamene nelle scuole in maniera seria, tranne in qualche fortunata oasi. Sono assolutamente contrario al modo in cui sono stati riformati i Conservatori italiani, artificiosamente diventati sulla carta delle Università per gli interessi di qualcuno, finendo poi per delegare al caso o ai mezzi propri delle singole famiglie l’aspetto più importante vale a dire l’impostazione dei bambini piccoli allo studio dello strumento e della musica.

Cosa vedi nel tuo immediato futuro? Stai lavorando ad altri componimenti o progetti?
A maggio uscirà il secondo libro “ Preludi”, anche questo per i tipi di AUGH Edizioni. Sono 24 piccole storie, ispirate dai Preludi op. 28 di Chopin, scritte dal 24 agosto al 30 ottobre del 2016. Sono dedicate alla sofferenza per la mia terra e per i miei cari che purtroppo non vede ancora la fine. In autunno uscirà una raccolta di Poesie, e l’anno prossimo arriverà un altro romanzo di cui ho appena terminato la prima stesura.
Il prossimo 8 maggio, presso la sala del Medaglione del Conservatorio S. Cecilia, per la prima volta, verrà assegnato il premio “La Quarta Ballata” al miglior studente del Conservatorio di Roma e sarà il Professor Ferdinando Aiuti, Immunologo di fama mondiale, a consegnarlo. Il mio Maestro, terrà una relazione sul “Infezione da HIV e giovani”, un tema che oggi è stato dimenticato nonostante i dati epidemiologici per nulla rassicuranti.

È mai successo che tu abbia provato sensazioni contrastanti dentro di te durante la lettura in pubblico di qualche cosa che hai scritto?
A questo proposito voglio raccontarvi una storia.
Salgo le scale di un Palazzo di via dei Coronari a Roma, sto andando a presentare il mio romanzo al Centro Studi Marche che diciassette anni fa mi ha assegnato un premio per la mia attività scientifica. Allora ero un giovane specializzando, sposato da qualche mese. Entro nella piccola sala e vado subito al pianoforte, un piccolo verticale sfinito come il Pleyel di Chopin fatto arrivare a Palma di Majoirca in circostanze fortunose dal caro amico parigino. Mentre sono preoccupato di come farà il M° Luca Bianchi, che perseguito da mesi, a suonare con quel piano la quarta ballata di Chopin, Silvia mi dice che ci sarà anche il Professore.
La stessa emozione di quindici anni prima quando aspettavo fuori dalla sua porta mi assale. La musica con il suo potere curativo spezza subito la tensione e un dialogo, impensabile venti anni prima, si sviluppa in un’atmosfera familiare, senza barriere, spontaneamente. Sento l’affetto delle persone che mi hanno voluto bene fin da allora: Silvia, Stefania, Pina.
Il Professore, che si è letto tutto il libro, prende un pezzo di carta con delle note scritte a penna per esordire dicendo: dissento!
Ti senti a casa, una casa strana, non quella della collina traumatizzata, ma la casa della tua vita multiforme fatta di incontri e sensazioni che si rimescolano in maniera imprevedibile. Pensi poi di fare un regalo a quella che sembra essere una piccola famiglia e Francesca legge “Scosse- Molto agitato”, un racconto scritto il 30 di ottobre, una giornata indimenticabile. Qualcuno tra il pubblico che era partito da San Severino Marche per non pensare, per spezzare solo per un poco una tensione ormai insopportabile che dura da mesi sulla collina colpita, abbassa gli occhi e il suo sguardo si spegne lasciando volare via l’effetto purificatore delle ultime note e degli ultimi accordi…
Ora potrei rispondere di nuovo alla domanda su “arte come espressione personale o come impegno sociale” che pone il dilemma se lo scrittore debba distrarre /distogliere gli animi dai loro problemi per sollevarli dalla fatica o dal dolore con un intervento “palliativo” della letteratura, oppure debba o possa colpire con la sua narrazione un cuore già indebolito nel tentativo poi di suscitare poi un effetto catartico.
Quella sera viste alcune reazioni mi sono sentito in imbarazzo, ho pensato che forse avevo sbagliato. Resto convinto invece che un artista marchigiano in questo momento non possa sottrarsi dal narrare a modo suo la realtà del terremoto, denunciando quello che succede sul posto o descrivendo quello che percepisce a trecento chilometri di distanza senza considerare quali saranno gli effetti – se solo dolorosi o anche purificatori. Saranno il tempo ed i lettori di oggi e di domani a deciderlo..
Vi abbraccio tutti. Marco

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