Trasparenza nelle assegnazioni economiche e responsabilità nella scelta dei progetti da finanziare. Sono le priorità che la Chiesa italiana si pone nella gestione dei fondi derivanti dall’8xmille. E poi una novità nella rendicontazione: a partire dalla prossima estate, infatti, le diocesi erogheranno le risorse economiche ai progetti che rispondono alle priorità stabilite dal vescovo. “È fondamentale che ci sia una pianificazione delle iniziative, che non sia semplicemente una ripetizione degli anni precedenti”, spiega Mauro Salvatore, economo della Cei da fine gennaio.
Come cambia la rendicontazione?
Vogliamo coinvolgere gli enti a cui le diocesi conferiscono i fondi. Come avviene con le fondazioni, l’erogazione di un contributo avverrà in base al progetto. E questo non basta: dopo l’assegnazione, infatti, si provvederà a fare anche una rendicontazione dei risultati.
Non ci fermiamo all’utilizzo dei soldi messi a bilancio, ma vogliamo anche sapere se i risultati ottenuti sono soddisfacenti.
Per fare tutto ciò, è opportuno stabilire delle priorità.
Le diocesi hanno accolto con favore le nuove indicazioni?
C’è entusiasmo da parte degli economi diocesani, ma anche una richiesta di aiuto. Alcune diocesi, infatti, sono maggiormente in difficoltà rispetto alla filiera della progettazione.
Spesso la Chiesa è accusata di non fare tanta chiarezza sui propri conti…
Non è vero. Tutte le diocesi presentano già i bilanci sul bollettino ufficiale. Il passo in avanti sarà la pubblicazione dei progetti finanziati anche sul sito e sul settimanale. Non sono fondi privati, ma risorse che arrivano per libera scelta dei cittadini. Quindi abbiamo una responsabilità precisa perché si renda conto del loro utilizzo. Eppure, talune richieste sono parossistiche.
In che senso?
Se parliamo di aziende, ad esempio, soltanto alcune sono tenute a pubblicare i bilanci: spa, srl e cooperative. Tutte le realtà non profit e associative non hanno un vincolo. È un punto importante:
la Chiesa italiana non è obbligata a rendere pubblico il bilancio, ma desidera farlo.
Non manca, però, chi vorrebbe addirittura abolire l’8xmille o impedire che venga concesso alla Chiesa cattolica.
Facciamo fatica a renderci conto di quanto bene riusciamo a fare grazie all’8xmille. La Chiesa non vuole vantarsi di quello che fa, ma raccontare le buone prassi. Più che dire se sia giusto o sbagliato, vorremmo far comprendere che la scelta di destinare una quota pari del gettito Irpef produce una moltitudine di iniziative benefiche. Di questo avvertiamo la responsabilità:
i soldi dei cittadini italiani, e non sono tutti cattolici quelli che decidono di destinarli alla Chiesa, permettono la realizzazione di tante attività che hanno anche il verso dell’utilità sociale.
Ci sono tante diocesi in difficoltà finanziaria?
Siamo ormai quasi al decimo anno di crisi economica. La situazione è difficile, le offerte sono diminuite tanto quanto i lasciti testamentari. Su oltre 220 diocesi, però, soltanto una decina si trovano in particolare difficoltà economica. Non c’è dubbio che debbano essere rivisti gli schemi abitudinari. Anche lo sforzo di individuare le priorità è necessario in questo momento. Non tutto si può continuare a fare, bisogna scegliere.
Comincia a essere sempre più diffusa la solidarietà tra parrocchie…
È positivo ma le esperienze, a volte, non sono regolamentate. Sarebbe opportuno che ci sia l’istituzione formale, da parte del vescovo, di un fondo di solidarietà tra le parrocchie, che possa essere alimentato dalla diocesi stessa o dalle parrocchie più in salute. Naturalmente il fondo non deve essere aperto alle parrocchie che hanno gestito male i soldi, ma a quelle che sono realmente in crisi.
Anche i parroci, quindi, sono chiamati a un maggiore senso di responsabilità?
La responsabilità giuridica è in capo al vescovo e all’economo. Ma la responsabilità etica è di tutti coloro che hanno un ruolo all’interno della diocesi e che svolgono un’attività sul territorio, a partire dai parroci.
Non si può essere autoreferenziali. Non si può immaginare che ci sia una Chiesa che prosegue le proprie attività semplicemente perché si è sempre fatto così.
I parroci sono responsabili amministrativamente e giuridicamente della parrocchia?
Certo. Ma un conto è quando il parroco presiede la comunità, e quindi svolge un compito di regia attorniandosi di laici con competenze professionali. Altro è un parroco che esercita la propria responsabilità come un re, in piena e assoluta solitudine. Questo non può più verificarsi. Spesso, poi, ci sono stati professionisti che si sono approfittati dell’ingenuità dei parroci. Vorremmo che così come ci sono dei mandati ecclesiali per i catechisti, ci siano anche per coloro che svolgono un’attività nel consiglio affari economici della parrocchia. È benvenuta la presenza di un avvocato, un ingegnere o un commercialista ma questo non deve avvenire nel nascondimento. Deve esserci un momento pubblico in cui la comunità affida un mandato.
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