L’Europa è viva e vuole continuare a esserlo. Unita e ancorata ai principi che nella storia l’hanno resa punto di riferimento per le aspirazioni di pace e di democrazia di tutto il mondo. L’Europa vuole continuare a esistere, ma per farlo è consapevole di dover riconquistare la fiducia e la passione della gente, riallacciare quel rapporto di stima che in 60 anni storia si è allentato. È questo il messaggio che emerge dalle celebrazioni che si sono svolte in un’atmosfera di grande solennità per i 60 anni dei Trattati di Roma e dalla “Dichiarazione” che i 27 leader degli Stati membri dell’Ue hanno, ad uno ad uno, sottoscritto nella sala capitolina degli Orazi e Curiazi, la stessa dove il 25 marzo 1957 i padri fondatori dettero inizio all’avventura europea.
Il Regno Unito non c’è. Ed è il grande assente. Segno e ferita di un’Europa che ha detto “no”, che ha perso in questi anni credibilità nel cuore della gente. Sono tempi difficili per l’Ue dove risuonano sempre più forti le correnti populiste, le chiusure delle frontiere, la costruzione dei muri. I flussi migratori dai Paesi in guerra e in via di sviluppo mettono paura e gli attacchi terroristici, sferrati contro i cuori vitali delle più importanti città europee, diffondono un clima di sospetto.
Ma – si legge nella Dichiarazione di Roma – l’Europa vuole continuare ad affrontare queste sfide “insieme”. Non ci sono vie alternative:
“Restare uniti è la migliore opportunità che abbiamo” per “difendere i nostri interessi e valori comuni”.
Quattro sono gli impegni concreti che i leader europei hanno preso firmando la Dichiarazione di Roma. Sono impegni che ridanno ossigeno al progetto europeo dei padri fondatori, rilanciandolo verso i giovani e il futuro. Si parla di un’Europa “sicura”, unita nella lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata. Un’“Europa prospera e sostenibile”, che “generi crescita e occupazione”. Un’“Europa sociale” capace di lottare “contro la disoccupazione, la discriminazione, l’esclusione sociale e la povertà”. Un’Unione in cui i giovani “possano studiare e trovare un lavoro in tutto il continente”. E, infine, un’Europa “più forte sulla scena mondiale” in grado di promuovere stabilità e prosperità anche “nel suo immediato vicinato a est e a sud, ma anche in Medio Oriente e in tutta l’Africa e nel mondo”.
L’assenza del premier britannico Theresa May, la campagna elettorale in Francia portata avanti da Marine Le Pen, le manifestazioni contro l’Europa previste in questa stessa giornata. Sono tutte sfide – ha detto il presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni – che dimostrano che “la storia è tutt’altro che finita”.
Il mea culpa è sincero: “L’Europa – ammette Gentiloni – si è presentata con troppi ritardi” su temi come migrazioni, crescita economica e lavoro.
Si è fermata, inciampando su procedure e regolamenti mentre il mondo andava vorticosamente avanti. E questo ha provocato una crisi di rigetto. “Ecco il vero messaggio che deve venire per noi dalle celebrazioni di oggi – dice per tutti il premier Gentiloni -: abbiamo imparato la lezione. L’Unione sceglie di ripartire” e ripartire significa riconquistare “la fiducia dei nostri cittadini”.
Anche il presidente del Consiglio Ue, Donald Franciszek Tusk, si rivolge a chi oggi non crede più nel progetto Europa e lo fa raccontando quella parte della sua storia personale vissuta in Polonia, dietro la cortina di ferro, quando era vietato sognare la libertà.
Distruggere la pace e la democrazia – avverte Tusk – “è facile, ci vuole un attimo”.
“Solo nell’unità possiamo affrontare le grandi sfide”, incalza da parte sua il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, che aggiunge: “È solamente rimanendo uniti che possiamo trasmettere alle generazioni future un’Europa più solidale, più salda, più forte e generosa, al suo interno e nel resto del mondo”. E Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo, parlando ai giornalisti, prende davanti ai cittadini europei un impegno solenne: “Il Parlamento europeo ha il dovere di controllare – e, da domani, il Parlamento europeo comincerà a controllare – che le cose che abbiamo scritto si trasformino in atti concreti”.