Prima dell’approvazione della legge delega contro la povertà, che ha introdotto il Reddito d’inclusione a livello nazionale, già numerose regioni avevano introdotto nei rispettivi territori misure per molti versi analoghe. In qualche caso con anni di anticipo, in altri quasi accompagnando l’iter parlamentare della legge, che attende ora l’emanazione dei decreti attuativi. Tra le regioni a statuto speciale si segnalano Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta e Sardegna, cui vanno aggiunte le province autonome di Trento e Bolzano, pioniere del settore. Tra quelle a statuto ordinario l’Emilia-Romagna, la Puglia, la Lombardia, la Basilicata e il Molise. La Toscana ha approvato proprio nei giorni scorsi il Piano regionale di sviluppo che prevede l’introduzione di un reddito di solidarietà attiva.
L’elenco va preso con beneficio d’inventario perché nelle diverse realtà le misure adottate assumono nomi differenti e non sempre sono perfettamente comparabili tra loro. Né rappresenta una classifica delle regioni più o meno solidali, in quanto le singole prestazioni non esauriscono la legislazione mirata a fronteggiare le situazioni di più grave disagio sociale. In ciascun caso andrebbe inoltre verificato se si tratti davvero di investimenti aggiuntivi e non di semplici redistribuzioni di somme già stanziate per finalità sociali. Pur con tutte queste cautele, dalla panoramica emerge come il tema della lotta alla povertà sia riuscito finalmente ad aprire una breccia nel dibattito politico a tutti i livelli.
C’è chi ha cominciato nel 2009, come la provincia autonoma di Trento, che per le famiglie in situazione di bisogno ha introdotto il reddito di garanzia. Il tetto massimo è di 950 euro mensili a nucleo, per quattro mesi, prorogabili di altri quattro e, dopo due soste di quattro mesi ciascuna, rinnovabili due volte per quattro mesi. Dopo dodici mesi di pausa è possibile presentare una nuova domanda. Il limite di reddito è individuato dall’Icef (Indicatore di condizione economica del nucleo familiare). L’erogazione è condizionata all’accettazione delle opportunità lavorative che vengono offerte dall’Agenzia regionale. La richiesta di comportamenti attivi da parte dei destinatari, peraltro, è un elemento comune a tutte le regioni, come pure il requisito di una durata minima di residenza nel territorio interessato, con ulteriori specifiche per i cittadini stranieri. Di lunga data anche il reddito minimo d’inserimentoprevisto dalla provincia autonoma di Bolzano. Viene erogato per sei mesi (in alcuni casi dodici) ed è una integrazione tra un livello di reddito considerato minimo e il reddito effettivo dei nuclei familiari, in base anche al numero dei membri: per esempio una persona sola può ricevere fino a 600 euro, un nucleo di quattro persone 1.100.
In Friuli-Venezia Giulia si parla di misura attiva di sostegno al reddito. L’importo può arrivare fino a un massimo di 550 euro al mese, il tetto di reddito Isee è di 6.000 euro e la durata è di dodici mesi, rinnovabili dopo due di pausa. In Valle d’Aosta, la legge regionale del 2015 ha introdotto azioni d’inclusione attiva e sostegno al reddito. L’intervento monetario dura al massimo cinque mesi con importi variabili tra 450 e 550 euro e un tetto Isee di 6.000 euro. Il provvedimento sta entrando adesso nella fase esecutiva. InSardegna la regione ha interpretato finora il reddito d’inclusione socialecome un’integrazione al Sia (Sostegno per l’inclusione attiva), la misura nazionale sperimentale destinata a essere sostituita dal Rei quando quest’ultimo diventerà applicabile. Se il Sia vale da 80 a 400 euro a persona, con il Reis (dove la S sta per Sardegna) si va da 200 a 500. Vengono anche recuperate le domande escluse dal Sia perché non hanno raggiunto il punteggio previsto dal bando nazionale.
Passando alle regioni a statuto ordinario, l’Emilia-Romagna ha varato ilreddito di solidarietà, fino a 400 euro al mese per un anno intero, con un Isee pari o inferiore a 3.000 e una platea di potenziali beneficiari di circa 80 mila persone. Stesso limite Isee per la Puglia: il reddito di dignità arriva fino a 600 euro mensili per dodici mesi. In Basilicata il reddito minimo d’inserimento esiste dal 2014. Rivolto prevalentemente a chi non ha o ha perso il lavoro, prevede 450 euro mensili per tre mesi, rinnovabili, con tetti Isee di 9 mila euro per i disoccupati di lunga data e di 15.500 euro per chi proviene dalla cosiddetta “mobilità in deroga”. In Molise il reddito minimo di cittadinanza è un contributo mensile di 300 euro per un anno, con un Isee non superiore a 3 mila euro. La Lombardia sotto il titolo di reddito di autonomia propone un ventaglio di misure per le aree di vulnerabilità sociale: si va da un buono di 400 euro mensili per un anno ad anziani e disabili al sostegno abitativo per separati e divorziati; dal “bonus famiglia” destinato a 8 mila nuclei disagiati alla “ dote unica lavoro” per disoccupati da più di 36 mesi.