I giovani e il loro desiderio di essere felici e di trovare “l’amore per sempre”. I giovani e la paura di rimanere soli. I giovani e il senso della vita, Dio e i sogni. I giovani e la Chiesa, una “istituzione che ha paura di rischiare, tentare strade nuove”, che “deve tornare alle radici del Vangelo” e farsi “prossima alla gente, come dice papa Francesco”. Sono i giovani di Barcellona a farsi portavoce dei sentimenti e delle aspirazioni dei giovani europei al Simposio che ha preso il via qui nella città spagnola.
“Camminava con loro. Accompagnare i giovani a rispondere liberamente alla chiamata di Cristo” è il titolo dell’incontro al quale stanno partecipando 275 delegati delle 37 Conferenze episcopali d’Europa.
Una 4 giorni di lavoro, confronto e scambio di esperienze e “buone pratiche”. Ci sono i delegati europei che lavorano in 5 ambiti di pastorale: scuola, università, catechesi, giovani, vocazione. Segno di una Chiesa che in Europa vuole accompagnare i giovani in tutte le fasi della loro vita. È la prima volta che si realizza un simile incontro e la prospettiva è il Sinodo dei vescovi che papa Francesco ha deciso di dedicare ai giovani. Non un caso, dunque, se a seguire il Simposio europeo a Barcellona c’è anche il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi.
È il papa a indicare ai partecipanti l’orizzonte a cui puntare: “I giovani siano portatori convinti della gioia del Vangelo in tutti gli ambiti”, scrive in un messaggio. Il Simposio si svolge in un momento storico in cui l’Europa è alle prese con una forte crisi di identità. Stanco e invecchiato, il nostro continente fa fatica a ritrovare le motivazioni di pace e di unità che sono alle origini della sua storia.
“I giovani sono il futuro di questo continente antico ma non spento”, ha ricordato il cardinale Angelo Bagnasco, in qualità di presidente del Ccee .
“L’Europa ha la prospettiva di una nuova giovinezza, non di un’inevitabile vecchiaia”, ha proseguito il cardinale, ma “il suo successo dipenderà dalla volontà di lavorare ancora una volta insieme e dalla voglia di scommettere sul futuro” e “scommettere sul futuro significa aiutare i giovani ad aver fiducia, a credere nell’Unione europea e, ancora prima, nell’identità del continente. Crederci fortemente, con realismo e con speranza, poiché siete voi i più veri protagonisti di questo cammino e della missione che ha l’Europa”.
Ma chi sono i giovani che a Barcellona sono al centro di dibattiti e riflessioni? È monsignor Marek Jedraszewski, arcivescovo di Cracovia e presidente della Commissione Ccee per la catechesi, la scuola e l’università, a tracciare un identikit. Molti di loro sono nati in famiglie cristiane e in maniera, in qualche modo, naturale crescono nella fede della Chiesa cattolica. Molti altri per motivi diversi hanno perduto la fede, talora a causa della perdita della fiducia nella Chiesa. Per questo, spesso vivono con un senso di interiore amarezza, che genera “tristezza, mancanza del senso della vita e una paralizzante carenza di speranza”. Molti altri, ancora, sanno che esiste la religione cristiana ma rimangono a “grande distanza”.
Il cardinale Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster, usa un termine inglese per definirli: parla di
“no where people”,
giovani che non sanno dove andare, che guardano al futuro con un profondissimo senso di “incertezza”. Ma l’Europa dei giovani è anche l‘Europa dei migranti. A Barcellona non si sta dimenticando che del nostro continente fanno parte anche tutti quei giovani che l’attraversano in cerca di un futuro migliore, fuggendo da Paesi in guerra e in estrema povertà. E tra loro ci sono anche le “migliaia di bambini non accompagnati” che cadono spesso nella oscura rete del “traffico degli esseri umani”.
“Non pretendiamo certo che il Vangelo possa dare risposte politiche a queste domande”, dice il cardinale Nichols. Ma la Chiesa non si tira indietro. Sa che i giovani sono il futuro dell’Europa e vuole mettersi in loro ascolto, “aiutarli a tirar fuori da ciascuno il meglio, scoprire con loro il mistero di cui sono portatori e incoraggiarli a seguire la nobile arte del discernimento della volontà di Dio nella loro vita”, dice monsignor Juan José Omella Omella, arcivescovo di Barcellona. Ma farlo significa anche mettersi in gioco:
significa “essere aperti a nuovi orizzonti, a nuove proposte e percorsi da esplorare”.
La grande sfida – dice il cardinale Antonio Canizares Llovera, arcivescovo di Valencia e vice-presidente della Conferenza episcopale spagnola – è far scoprire ai giovani che “vale la pena essere Chiesa. Devono percepire che li amiamo e abbiamo fiducia in loro, devono sentirsi i benvenuti, che la Chiesa li vuole, li accoglie, ha fiducia in loro, crede che i giovani possono costruire il mondo del nuovo millennio. Devono sentire che sono la speranza del mondo e la speranza della Chiesa”.
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