di Don Gianluca Rosati
“DIO AIUTA”
L’esperienza come assistente di acr è iniziata in modo del tutto inaspettato poco più di sei anni fa e mi sta regalando la straordinaria possibilità di stupirmi nel guardare Dio all’opera nella vita dei piccoli. Il ritiro di Quaresima (25-26 marzo), proposto dall’acr della nostra Diocesi ai ragazzi dai 12 ai 14 anni, mi ha offerto tanti motivi di meraviglia e tanti spunti di riflessione.
È stato un bel ritiro per merito del predicatore, don Pino, giovane sacerdote della nostra Diocesi, e per l’impegno dell’equipe diocesana e degli educatori delle diverse parrocchie che hanno scelto di partecipare. Terminato il ritiro e ricevuto come segno un vasetto contenente olio profumato (simbolo del profumo della Risurrezione), i ragazzi si sono alzati dalle sedie e si sono avviati verso casa, quasi dimenticando di recuperare i loro telefoni cellulari. Nel 2017 può capitare di vivere un’esperienza talmente intensa e coinvolgente, da dimenticarsi del cellulare! Durante una bella esperienza di vita comune si può essere così connessi con il mondo circostante, da non sentire l’esigenza di altre connessioni! Capitava qualcosa di simile anche qualche anno fa, quando i cellulari non erano stati inventati: si partecipava al campo-scuola o a una gita scolastica e ci si dimenticava di telefonare a casa. E, puntualmente, si veniva raggiunti dalla chiamata preoccupata dei genitori: «Stavamo in pensiero! Non ti sei fatto sentire nemmeno per dire che eri arrivato!». In realtà non ci si era dimenticati dei genitori, ma si stava così bene e ci si sentiva così coinvolti e partecipi, da non pensare ad altro!
Il ritiro acr aveva come tema il brano del Vangelo di Giovanni in cui si racconta la risurrezione di Lazzaro. Fin dalla prima meditazione, Lazzaro, grazie alle parole di don Pino e alla creatività di educatrici ed educatori, appariva davanti ai nostri occhi nel momento della sua uscita dal sepolcro: una grande sagoma di cartone tutta avvolta con le bende e con il viso avvolto da un sudario. La sagoma rendeva evidente che Lazzaro non poteva muoversi agevolmente.
Lazzaro mi stava davanti e il pensiero dei suoi movimenti, quasi impediti dalle bende, se all’inizio mi aveva fatto sorridere, ora mi suscitava una certa inquietudine. Come se non bastasse, la pietra del sepolcro, realizzato per creare nel salone la giusta ambientazione, era stata spostata e lasciava intravvedere un accesso possibile, una porta da cui si può passare, come Lazzaro, per uscire, ma anche per entrare.
Il sepolcro di Lazzaro, aperto davanti ai miei occhi, e la sagoma di Lazzaro che cammina, tutto avvolto nelle bende, mi fanno pensare a quel sepolcro come a una grotta in cui è possibile ritrovarsi a vivere, ancora prima di essere morti. Possiamo vivere con le mani e i piedi avvolti in bende e il volto coperto da un sudario, proprio come Lazzaro vivo all’uscita del sepolcro: «Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario» (Gv 11, 44).
Può capitarci di essere morti viventi che attendono la risurrezione ad opera di un amico che passi di lì e ci dica: «Lazzaro, vieni fuori!» (Gv 11, 43). Tante sono le bende che ci legano e non ci lasciano liberi di godere la bellezza della vita e alla fine arriviamo a trascorrere giorni interi nel sepolcro, scambiando la morte con la vita. Un giorno, però, arriva qualcuno e ci fa uscire fuori; allora alziamo lo sguardo verso il cielo e ci accorgiamo di quanto è azzurro e staremmo lì a guardare il cielo beati, senza più pensare ad altro! Quando il cielo è sereno, ti sembra di starci dentro, di essere abbracciato dalla sua intensa purezza. Usciti fuori dal sepolcro e liberati dalle bende, possiamo cominciare una vita nuova, possiamo tornare a muoverci e a vedere bene. Fuori dal sepolcro respiriamo la leggerezza della libertà, la gioia dell’amore, siamo presi dalla colorata allegria della vita.
La visione delle bende sulla sagoma di cartone, mi fa pensare alle bende che portiamo addosso senza accorgercene. Le bende di Lazzaro sono i nostri peccati, i vizi, le cattiverie, i rancori, le paure, l’egoismo,… Le bende di Lazzaro sono il fumo di veleni legali o di droghe definite leggere e consumate per noia o per distrarsi dal presente, sostanze nocive al corpo e allo spirito, che invece di liberare, incatenano in gravi dipendenze. Le bende di Lazzaro sono l’alcool, per alcuni compagno irrinunciabile nelle serate di festa, come se l’allegria fosse l’effetto di un minestrone di sostanze e non di una vita bella e di buone relazioni. Le bende sono le varie dipendenze a cui ci si aggrappa di volta in volta per saziare la nostra fame di amore, di accoglienza, di comprensione, di attenzione, di perdono,… E poi, al tramonto della notte, svanita l’ebbrezza e spente le luci delle illusioni, ci si ritrova a brancolare nel buio puzzolente di un sepolcro.
Ognuno nel suo sepolcro, ognuno con il suo vestito di bende, pensiamo di essere liberi, più liberi degli altri perché abbiamo avuto il coraggio di trasgredire, di fare ciò che non è lecito,… Ma se avessimo la possibilità di guardarci come in un film, saremmo presi dall’inquietudine per una libertà che ci appare irrimediabilmente compromessa o perduta e saremmo noi stessi i primi a cercare un amico che ci liberi, che ci aiuti a uscire, che ci dia la possibilità di un nuovo inizio.
Quell’amico è Gesù. La sua Parola ci fa risorgere da ogni sepolcro, ci libera da ogni benda che può essersi attorcigliata alla nostra vita perché possiamo vivere da risorti. Gesù non ha paura di rischiare la vita per la nostra salvezza, per la nostra liberazione; gli stessi discepoli ne sono meravigliati: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?» (Gv 11, 8). Non dobbiamo temere che sia troppo tardi, che sia troppo il tempo che abbiamo trascorso nel sepolcro: non c’è ostacolo che possa impedire a Dio di salvarci.
Lazzaro è un nome che alla lettera significa «Dio aiuta» (cfr. Messaggio del Papa per la Quaresima 2017). Lasciamoci aiutare da Dio!