La suggestiva cornice del Monastero di Valledacqua ad Acquasanta Terme ha ospitato il convegno “Terremoto, quale comunicazione? Il ruolo dell’informazione nell’emergenza”.
La comunicazione in situazioni di emergenza è stato il tema al centro di questa conferenza che si è posto l’obiettivo di dare un suggerimento ai professionisti della categoria per affrontare al meglio quelle estreme condizioni che un contesto di pericolo comporta.
Dopo il saluto e i ringraziamenti del moderatore, Vincenzo Varagona, capo servizi Rai, il lavoro è stato introdotto dal sindaco di Acquasanta Terme, Sante Stangoni, il quale si è mostrato compiaciuto dell’organizzazione di convegni che hanno l’intento di puntare gli occhi verso queste aree perché, a distanza di molti mesi, ancora siamo in piena emergenza e la fase di ricostruzione sta partendo con molti interrogativi. “Io penso che il ruolo dei giornalisti e tutto il discorso informativo è molto importante in questa fase perché il cittadino deve avere un’informazione molto attenta e oculata visto che egli ha difficoltà a pensare al proprio futuro e al domani della propria famiglia”, afferma il sindaco. “Come amministratori e come giornalisti dobbiamo essere bravi a trasmettere sempre un messaggio di ottimismo, anche se molte volte è difficile ma è giusto far capire che bisogna crederci e andare avanti”.
La parola passa poi a Dario Gattafoni, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti delle Marche: “Comunicare in situazioni di emergenza vuol dire anche comunicare sotto stress per la struttura redazionale, per i giornalisti, per gli inviati, per le agenzie, per le fonti. Quindi, esiste tutta una situazione particolare in cui siamo chiamati a fare il nostro mestiere e la situazione investe prima di tutto dei problemi di natura tecnico-organizzativa. La prima forte scossa di questo terremoto che ha devastato quattro regioni è sopraggiunta il 24 agosto, quando nelle redazioni il personale era ridotto all’osso per via delle ferie e la risposta dell’informazione marchigiana davanti a questa emergenza e a tutti i problemi che ha creato è stata all’altezza della situazione. I colleghi, con grande spirito e sacrificio, hanno cercato di fornire ugualmente notizie, dando anche un supporto alle popolazioni colpite. Poi c’è il problema di analisi tecnico-professionale di quello che sta succedendo, cioè la scelta delle notizie e delle fonti, la necessità di evitare da un lato il sensazionalismo ma di dare dall’altro lato la percezione, a chi riceve notizie ed immagini, di quello che è successo”. E ribadisce: “Evitare le esagerazioni, evitare la ricerca del sensazionale a tutti i costi”.
Il presidente mette in luce un altro aspetto non meno importante, cioè la vastità dell’evento nella quale si sono verificati danni enormi non soltanto alle case ma anche alla viabilità e all’economia. L’economia di queste zone si regge fondamentalmente sul turismo collegato alla produzione e vendita dei prodotti tipici del territorio e quando è fermo il turismo, conseguentemente si ferma anche la produzione e gli allevamenti. “La nostra attività tecnico-professionale” continua Gattafoni, “è di fornire tutte le notizie di cui veniamo a conoscenza e selezionarle, insomma dare notizie che consegnino una percezione della realtà alla gente che legge i giornali, che accende la televisione o che naviga sul web, ma dobbiamo darle con correttezza”.
L’ultimo aspetto al quale il presidente punta l’attenzione è l’aspetto etico. Davanti ad un dramma del genere, davanti ad una notizia che mediaticamente ha un impatto enorme, ci vuole equilibrio, misura, ricerca assoluta della verità e controllo pieno delle fonti. “Dobbiamo dare tutte le notizie di cui veniamo a conoscenza e sono notizie che ci vengono dal Governo Nazionale, dalla Regione e poi filtrarle, commentarle e criticarle. Dare informazione corretta: questo è il nostro incarico e lo dobbiamo onorare filtrando i fatti per farli diventare notizie. Non tutti i fatti sono notizie, sta a noi farle diventare tali perché questo è il nostro compito professionale”.
Particolare attenzione ha suscitato l’intervento di Maurizio Di Schino, segretario nazionale dell’UCSI (Unione Cattolica Stampa Italiana) a Roma, inviato speciale di TV 2000 che ha raccontato la sua esperienza di inviato da una parte e responsabile dall’altra parte e ha messo in evidenza l’invito che fa ai colleghi di riflettere sulla propria missione assieme all’elemento deontologico che è proprio dell’ordine dei giornalisti. “Come UCSI noi abbiamo il compito di formarci e offrire opportunità di formazione, tutto questo come parte della chiesa. Ogni volta che scriviamo dobbiamo sempre chiederci quale parola utilizzare in quel momento, ogni parola è una storia, ispirata dal contesto. Bisogna entrare in empatia e stabilire un rapporto e un dialogo prima ancora di piazzare telecamere e microfoni. In queste circostanze la realtà va rispettata e ascoltata, bisogna porsi in silenzio ancor prima di parlare e di scrivere”.
Il giornalista parla della sua esperienza nei luoghi terremotati e della sua rabbia nei confronti di chi vuole distorcere la realtà per dare un maggior impatto alla notizia. “Ad Amatrice la devastazione era enorme: gli edifici erano collassati. Impressionante era vedere gli effetti personali, la quotidianità che faceva capire in quella casa cosa c’era, come si viveva, a cosa erano affezionati. Ma ciò che turba di più è vedere come persone della comunicazione alterano la realtà per una foto ad effetto: su di un muretto avevano messo l’orsacchiotto con la bambolina e un giornaletto per ritrarre in maniera più forte e drammatica quella realtà”.
E decatizza il mestiere del giornalista: “Il giornalista non può essere soltanto un mezzo, un qualcosa di meccanico, ma è uno strumento in cui la comunicazione non è soltanto quella di travasare ciò che vede e ascolta, ma vuol dire di più. Il giornalista è anche un elemento di speranza, non di illusioni. Ha questa grande responsabilità nell’andare in quegli ambienti che parlano di morte, andare a spigolare qualche cosa che vada oltre quella barriere di maceria e di dolore. Il nostro compito è andare ad individuare quei piccoli sorrisi anche nelle tragedie, e in quei momenti noi siamo chiamati a rilanciare un orizzonte di speranza perché non è soltanto il dolore che ci porta ad andare lì, altrimenti avremmo fallito la nostra professione, perché se noi non siamo portatori di un qualcosa di bene, allora la nostra professione non avrebbe più motivo”. E aggiunge: “L’emergenza è il banco di prova dell’essere giornalista, nello scegliere le parole e soprattutto anche nel recupero dell’artigianalità della professione. Infatti, sono opportunità che ci aiutano a recuperare gli strumenti della nostra professione e l’artigianalità della nostra professione perché il giornalismo è un lavoro di artigiani”.
Conclude offrendo un altro aspetto di interpretare la professione, di vivere la categoria e il modo di dare informazione: “Bisogna essere portavoci delle richieste dei territori, anche se in contrapposizione con il sindaco o con gli altri amministratori. Sostenere la gente senza aizzarla fa anche parte della nostra responsabilità perché non dobbiamo essere la mano armata della gente arrabbiata perché il nostro ruolo è anche quello di mettere in contatto gli enti con i cittadini o i commercianti. Bisogna anche raccogliere gli sfoghi, possiamo essere di aiuto anche a mitigare l’inevitabile contrasto tra gente, amministratori e rappresentanti governativi. Ci sono addirittura casi in cui degli agenti immobiliari chiedono soldi agli sfollati solo per vedere una casa. Questi casi sono stati stanati grazie all’aiuto dei giornalisti”.
Ad arricchire il dibattito ha presenziato al convegno anche Titti Postiglione, Direttrice ufficio emergenze Dipartimento della Protezione civile, che ci ha parlato della complessità nell’affrontare nelle prime ore questo tipo di emergenza: “L’informazione e la comunicazione nell’emergenza passa soprattutto attraverso il rapporto che c’è tra le istituzioni e il giornalismo. Mio malgrado, mi sono trovata a svolgere oltre il ruolo che ho come direttore, il ruolo principale di gestire l’emergenza. Abbiamo fatto fin da subito una scelta rischiosa e cioè portare al confronto con gli organi di informazione le stesse facce che stavano gestendo l’emergenza con un impegno non da poco. La complessità delle prime ore è capire i dati che arrivano possono essere sbagliati e sono dati che si aggiornano di continuo durante le successive ore. La cosa complicata è gestire nell’incertezza”.
Poi illustra gli elementi fondamentali che deve avere un buon giornalista: l’etica, che significa operare in un contesto particolare, di difficoltà di un paese, e fiducia e ascolto: in quelle prime ore, è scattato subito un rapporto reciproco, una capacità biunivoca di ascolto e una grande fiducia. “Se non si ha la capacità di ascolto e di conoscenza si va poco lontano”, continua la dottoressa Postiglione, “una corretta informazione può fare la differenza. Il giornalismo è uno strumento che dà voce ai cittadini, aiuta a trovare risposte e in questo c’è gran parte della professione di giornalista, e provare anche a metterci un po’ del proprio per costruire delle risposte”.
Altro messaggio che la direttrice ci tiene a dare è che proprio perché la comunicazione e l’informazione hanno un ruolo strategico in emergenza, le istituzioni si devono impegnare di più perché quel ruolo che viene svolto da professionisti, possa essere svolto nel migliore dei modi.
Un altro tema fondamentale è la capacità di mettersi al servizio delle persone e spiegare come stanno realmente le cose, aiutando i sindaci e i parroci, di cui tutti si fidano. Questa rete di informazione corretta al cittadino va anche oltre i media.
Ultimo concetto: importantissimo è il dopo e il continuare a tenere accesi i riflettori. Un modo di farlo è utilizzare lo strumento degli organi di informazioni ma c’è un modo meno appariscente che in alcuni casi è anche più funzionale che è quello di continuare a stare sui territori. Il giornalismo si basa su un concetto che è il concetto di notizia, il cittadino ha il diritto e il dovere di sapere.
In conclusione, Titti Postiglione sottolinea l’importanza della prevenzione, di preoccuparci del prima che avvenga una calamità.
Il tema del convegno ha inteso passare poi alla psicologia. Con un’affascinante introduzione sulla mente, è seguito l’intervento della psicologa e psicoterapeuta Eddy Spezzati: “La mia specificità è l’aspetto psicologico e il supporto emotivo nell’intento di migliorare quel clima di fiducia, di comprensione e di ascolto che il giornalista può portare sul territorio. La comunicazione ha l’obiettivo primario di mettere ordine, inteso come far comprendere. La comunicazione è un fenomeno complesso perché più il giornalista riesce a creare empatia e fiducia e diventare attore consapevole e più riesce ad agganciare il ricevente che anche se singolo è però un tutt’uno, un insieme di aspetti fondamentali: lo spirito, la mente e il corpo. Cosa accade durante un terremoto a questi tre elementi fondamentali? Possono venire lesi da fratture interiori, non visibili all’esterno, che spesso sono quelle più ardue a guarire e difficili da comprendere. Nel momento dell’emergenza si riattiva un sistema primitivo: l’uomo scappa, il corpo va in allarme. Approcciarsi con una persona in questo stato necessita di una giusta accoglienza, rispetto e conoscenza delle metodologie più adeguate. Davanti a questo tipo di evento, la persona ha due sistemi di azione: attacco e fuga, cioè scappa o decide di affrontare l’evento.
L’essere umano è fatto anche da mente. Le persone che andiamo ad intervistare hanno costruito di per sé delle strategie, delle scorciatoie mentali che nel momento dell’emergenza, dove le risorse sono limitate, gli permettono di superare la situazione. Quando ci sono troppe informazioni da filtrare, la mente umana vuole conferma e prende come veritiera quell’informazione che ha già pensato in sé e tutto il resto lo esclude. Poi, in emergenza tutte le informazioni che ci vengono date non le ricordiamo nel suo intero ma ricordiamo le prime e le ultime. Questo è importante per chi si occupa di comunicazione perché la parte centrale dell’informazione non viene recepita.
Inoltre, l’evento traumatico sempre segna lo spirito perché definisce un confine tra il prima e il dopo di ciò che è accaduto. Tutte le emozioni che noi viviamo nella quotidianità, in una situazione di emergenza sono amplificate”.
Quindi, a detta della psicologa Spezzati, la comunicazione in emergenza deve tenere conto di questi tre aspetti della persona a cui ci rivolgiamo. Una buona comunicazione porta l’ordine nel disordine. Poi fa un elenco di regole di comunicazione universali: “La specificità: a domanda precisa risposta precisa; la coerenza: può capitare in emergenza di modificare un’informazione ma se l’informazione non è coerente va specificata con una evoluzione di un’informazione oggettiva che già si aveva e l’accuratezza delle informazioni”.
Conclude il suo discorso, trattando dell’importanza dell’accoglienza delle emozioni altrui senza giudizio e accade spesso che l’empatia nella comunicazione di emergenza porti a paura e lo spavento rischia di sminuire l’emergenza stessa. L’empatia è una dote importantissima ma difficilissima nella comunicazione perché richiede molta consapevolezza delle proprie emozioni e le parole sono fondamentali e significative. Importante è passare dal comunicare al comprendere o farsi comprendere che indica un’azione attiva e capace e, fondamentale, è essere un punto di riferimento capace ed efficace.
La conclusione spetta a Sua Eccellenza Monsignor Giovanni D’Ercole, vescovo di Ascoli Piceno, che introduce una prima parte dell’omelia di cui discorrerà nella successiva celebrazione che avrà luogo nella chiesa del Monastero. Nel suo intervento il Vescovo afferma: “E’ importante non tanto comunicare ma farsi comprendere perché la stessa cosa viene percepita in molte maniere diverse. Il lavoro difficile della comunicazione è proprio farsi capire. Bisogna essere umili nel comprendere che per quanto sforzo si faccia, ci sarà sempre qualcuno che non capirà. In questa era di marketing sarà sempre più difficile farsi capire e diventerà una vera missione soprattutto per coloro che sono al servizio della verità che oggi diventa sempre più difficile da capire e da comunicare”.