I mafiosi non hanno speranza. Pensano che il male si possa vincere con il male, perché non sanno cosa sia l’umiltà, la misericordia, la mitezza, il perdono. Lo ha spiegato il Papa, a braccio, agli oltre 15mila fedeli presenti ieri in piazza San Pietro. La speranza cristiana non è un telefonino, ha ammonito Francesco nella catechesi dedicata alla prima lettera di Pietro. “Cristo è risorto”, il saluto proposto per il tempo di Pasqua al posto di buongiorno e buonasera: come fanno i popoli slavi, in questi giorni. “Fare del bene anche a quelli che non ci vogliono bene o ci fanno del male”, la consegna finale, sempre a braccio: “Avanti!”. Prima dei saluti in lingua italiana, un duplice appello: per le vittime dell’attentato di San Pietroburgo e per la pace in Siria, dopo l’inaccettabile strage di Idlib.
Il segreto di questa lettera sta proprio nelle sue radici pasquali, nel cuore del mistero che ci apprestiamo a celebrare, nella luce e nella gioia che scaturiscono dalla morte e risurrezione di Gesù. Rendere ragione della speranza che è in noi, come ci esorta a fare Pietro, è un compito che ciascuno di noi riceve in consegna proprio in forza della Pasqua.
“I mafiosi pensano che il male si può vincere col male, e così fanno vendetta e tante cose che tutti sappiamo, ma non conoscono cosa sia l’umiltà, la misericordia e la mitezza: perché i mafiosi non hanno speranza. Pensate a questo!”.
È l’invito rivolto, ancora a braccio, dal Papa. Della speranza non si deve rendere ragione solo a livello teorico, a parole, ma soprattutto con la testimonianza della vita, sia all’interno della comunità cristiana che al di fuori di essa. Il punto di partenza è semplice: se Cristo è vivo e abita in noi, nel nostro cuore, dobbiamo lasciare che si renda visibile, non nasconderlo, fare come ha fatto Gesù, nostro modello di vita. Se rimanesse nascosta, la nostra speranza sarebbe una speranza debole, che non ha il coraggio di uscire allo scoperto. La speranza del cristiano, spiega il Papa, ha la forma squisita e inconfondibile della dolcezza, del rispetto e della benevolenza verso il prossimo, e arriva addirittura a perdonare chi ci fa del male.
“Una persona che non ha speranza non riesce a perdonare, non riesce a dare la consolazione del perdono e ad avere la consolazione di perdonare”,
ammonisce Francesco ancora una volta fuori testo: il male non lo si vince con il male, ma con l’umiltà, la misericordia e la mitezza. È questo che non comprendono i mafiosi, perché non hanno speranza.
“Ogni volta che noi prendiamo la parte degli ultimi e degli emarginati o che non rispondiamo al male col male, ma perdonando senza vendetta, perdonando e benedicendo – assicura il Papa – ogni volta che facciamo questo, noi risplendiamo come segni vivi e luminosi di speranza, diventando così strumento di consolazione e di pace, secondo il cuore di Dio”. “Fare del bene anche a quelli che non ci vogliono bene o ci fanno del male”, la consegna finale, sempre a braccio: “Avanti!”.
Augurare il bene agli altri non è una formalità, puntualizza Francesco a proposito del significato autentico del termine “benedizione”: non è solo un segno di cortesia, ma è un dono grande che noi per primi abbiamo ricevuto e che abbiamo la possibilità di condividere con i fratelli. È l’annuncio dell’amore di Dio, un amore smisurato, che non si esaurisce.
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