La Resistenza come fenomeno europeo, affermava nel 1963 Norberto Bobbio, è stata un moto di liberazione nazionale contro il nazismo, “un grande moto di emancipazione umana”. Non a caso nei lager e nelle prigioni dei Paesi occupati dai tedeschi (e nella stessa Germania) sono maturati i due filoni dell’europeismo e dell’ecumenismo, sino ad allora riservati a ristrette élites. Il “Manifesto di Ventotene”, al quale si rifarà la politica europeista, fu scritto al confino nel 1941-42 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi in circostanze proibitive, quando sembrava che nulla potesse fermare Hitler.
Per quell’idea si erano spesi, invano, consapevoli politici europei, come ad esempio, negli anni Venti, il tedesco Stresemann e il francese Briand.Più fortunati i loro successori, tre dei quali, Schuman, Adenauer e De Gasperi, di solida estrazione cattolica e tenacemente avversi alla tirannia, accanto al laico Monnet.La follia omicida di una serie di dittatori non era bastata a spegnere ideali di fraternità e di pace, così che l’opposizione alla violenza aveva naturalmente attecchito anche a livello popolare. Lo dimostrano gli estremi messaggi dei condannati a morte della Resistenza europea, il cui linguaggio è sorprendentemente simile in tutti i Paesi occupati, e negli stessi martiri tedeschi, spesso con accenti religiosi. Con qualche motivo di rammarico (già espresso da Giovanni Paolo II) per l’assenza, nei vari documenti fondanti dell’Unione europea, di un qualsiasi rapporto con le radici cristiane del continente.
L’Europa è comunque un tema intimamente connaturato alla Resistenza, presente nel contributo, forse ingiustamente trascurato, della coscienza tedesca.
Come nei manifestini che la Rosa Bianca diffuse in Germania dall’estate del 1942 all’inizio del ’43, e che ai loro promotori valsero il patibolo. “Solo un sano sistema federalista – è scritto in uno degli ultimi volantini – può ridare nuova vita all’Europa indebolita”.
Nello sviluppo di una coscienza europea esemplare la figura di Franz Stock, il prete tedesco che, durante l’occupazione nazista di Parigi, oppose l’esercizio cristiano del suo ministero alle logiche della violenza. A lui, che aveva coltivato sin da giovane l’idea di una unione dei popoli, si rivolgeva nel 1940, e senza che nulla alimentasse l’illusione di un obiettivo raggiungibile, il grande poeta cristiano tedesco Rheinold Schneider: “Non posso – scriveva in una lettera – rinunciare alla speranza della rinascita dell’Europa unita; l’Europa potrebbe addirittura essere il senso di questa guerra, ma non è certo che la gente lo comprenderà a tempo… Che gli uomini in Europa possano ancor più unirsi spiritualmente, e che così la grande missione cristiana possa rinascere: è tutto quello che ci si può augurare per il destino terrestre dei popoli”.
Fra i pionieri dell’unione va annoverato altresì il sacerdote Max Josef Metzger, fondatore della comunità ecumenica Unam Sanctam, martirizzato e ucciso dai nazisti e di recente beatificato.Già all’indomani dalla fine della prima guerra mondiale profeticamente scriveva: “Deve rinascere una nuova Europa che, diversamente da quella vecchia, non avrà più ambizione di espandere il potere, ingrandire il territorio e cose simili. Un’Europa che metterà insieme i popoli racchiudendo in una grande unione pacifica gli interessi comuni e l’impegno di tutti nella soluzione dei comuni problemi”. Un’altra vittima del regime hitleriano, Helmuth James von Moltke, si chiedeva: “L’Europa del dopoguerra sta nell’interrogativo: come si può ristabilire l’immagine dell’uomo nel cuore dei nostri concittadini? È un problema di religione, di educazione, di attaccamento al lavoro e alla famiglia, di giusti rapporti tra responsabilità e diritti”.
Queste le testimonianze dell’apporto spirituale della Germania migliore all’edificazione dell’Europa.
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