ZENIT – di Giuseppe Adernò

“La scuola al centro”, bella espressione di grande effetto, specie durante le campagne elettorali o nelle dichiarazioni del Governo, che dice tanto e spesso fa poco o niente, perché questa “centralità” sia reale e non solo figurativa e retorica.

La scuola italiana ha conseguito meriti di “eccellenza” nelle indagini OCSE per l’attenzione di accoglienza delle diversità, dell’inclusione sociale, dello spessore culturale, ma ancora ci sono tanti vuoti da colmare e tante competenze da certificare come realmente acquisite.

Il tema della scuola è stato al centro del primo Women Meeting Point, che ha l’obiettivo di colmare i vuoti legislativi più gravosi come l’assenza di politiche organiche di welfare. Intervenuta anche l’esperta delle politiche scolastiche, Suor Anna Monia Alfieri, coordinatrice del Tavolo Permanente sulla Parità, Assessorato Istruzione, Formazione e Lavoro della Regione Lombardia.

Suor Anna Monia ha affermato che “l‘unica soluzione per evitare il tracollo della scuola pubblica, sia statale che paritaria, è il costo standard di sostenibilità.

La proposta prevede che lo Stato ponga al centro dell’attenzione lo studente. S’individui un costo standard di sostenibilità (da declinare in convenzioni, detrazioni, buono scuola, voucher ecc.) e lo si applichi ad ogni allievo della scuola italiana, sia statale che paritaria. Solo così si realizza la libertà di scelta educativa in un pluralismo formativo: la famiglia avrebbe la possibilità di scegliere la buona scuola che desidera, pubblica statale o pubblica paritaria; la spesa per lo Stato sarebbe a costo zero rispetto all’attuale, che è fuori controllo.

 Migliorerebbe l’offerta educativa perché il passaggio decisivo del’costo standard’ non sta nell’uguaglianza economica, ma nel rafforzamento della responsabilità della famiglia e del potere della domanda, rispetto all’offerta scolastica garantita. L’attuale regime dei finanziamenti a pioggia rappresenta il tracollo economico della scuola pubblica tutta”.

Il diritto all’istruzione si è trasformato in un malinteso diritto all’impiego pubblico senza alcuna attenzione al fabbisogno educativo. Qui non c’è spazio per la sterile polemica o per la contrapposizione. Eppure in tavoli prestigiosi, relatori di grido dichiaravano: “lo Stato deve pensare anzitutto alla scuola pubblica e cioè a quella gestita dallo Stato; poi, se avanza, pensiamo alle paritarie“…

La crisi economica, la crisi e lo sfaldamento della famiglia, il vuoto dei valori educativi, hanno reso difficile l’esercizio della libertà di scelta che compete alla famiglia e che la Costituzione riconosce, ma lo Stato non ne favorisce l’esercizio.

La difficoltà di dover aggiungere i costi della retta per un servizio d’istruzione e di formazione di qualità nelle scuole paritarie, prive di mezzi e sostenute soltanto dalle rette dei genitori, rette che non possono essere aumentate per il diffuso disagio sociale, ha, di fatto, soffocato ogni anelito di “scelta libera” per assicurare ai figli un’educazione ricca di valori e di principi sani nell’ottica di un’educazione integrale.

Oggi le famiglie non possono scegliere dove educare i figli. Devono soltanto accettare la proposta della scuola statale, che non è poi veramente gratuita, anzi con le eccessive spese che gravano sull’erario pubblico, mentre, attraverso una corretta pianificazione si potrebbero migliorare i servizi ed evitare che ci siano scuole insicure e inadeguate aperte, mentre istituti scolastici ben costruiti con tutti i crismi della sicurezza e con tutte le caratteristiche di scuola efficiente e funzionale con palestre, cortili, laboratori, chiudono i battenti per mancanza di alunni e di rette.

La scuola paritaria e cattolica ha dimostrato di abbandonare le scelte di comodo che hanno dato al servizio scolastico una connotazione classista, regionalista e discriminatoria. Classista nella misura in cui non permette anche al povero di esercitare la libertà di scelta educativa in un pluralismo formativo. Regionalista nel senso che, rispetto ad una regione come le Lombardia, che è ben oltre i parametri europei OCSE, abbiamo ad esempio la Campania e la Calabria molto al di sotto.

Infine si rimprovera l’atteggiamento discriminatorio, nei confronti della classe docente che – a fronte dell’esercizio del diritto alla libertà d’insegnamento – si trova, a parità di titolo, a dover percepire uno stipendio inferiore se sceglie di insegnare in una scuola pubblica paritaria rispetto alla scuola pubblica statale.

E’ stata vergognosa la discriminazione dei docenti delle scuole cattoliche nel non vedere riconosciuto il punteggio del servizio prestato ed ora sono stati immessi in ruolo a punteggio zero, anche se portatori di grande ricchezza ed esperienza didattica

Mentre si celebra quest’anno il quarantesimo della Legge 517 del 1977, che ha rinnovato la cultura dell’integrazione e dell’inclusione, si registra una vergognosa discriminazione verso gli studenti portatori di handicap ai quali, se scelgono la scuola pubblica paritaria – che per legge dello Stato Italiano fa parte del sistema scolastico di istruzione – non viene riconosciuto il docente di sostegno come avverrebbe presso la scuola pubblica statale e, spesso i genitori si devono far carico di un costo aggiuntivo nella retta scolastica.

Non è corretto. Non è giusto. Quando le parole belle diventeranno fatti concreti?

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