È la “ministerialità laicale” la nuova frontiera per la famiglia. Ne è convinto monsignor Pietro Maria Fragnelli, vescovo di Trapani e presidente della Commissione Cei per la famiglia, i giovani e la vita, che nel primo anniversario dell’esortazione apostolica di Papa Francesco traccia per il Sir un bilancio in chiave italiana dell’Amoris Laetitia.
A un anno di distanza, si può dire che l’Amoris Laetitia abbia già segnato un cambio di passo nella pastorale familiare?
Si può sicuramente dire che si è avviato un cambio di mentalità sia dell’episcopato, sia delle nostre diocesi, come qualcosa che però è ancora da fare, da vivere e da cercare insieme. Potremmo dire: lavori in corso.
Tutti ci rendiamo conto che la pastorale non può cambiare all’improvviso: l’Amoris Laetitia ci impegnerà per un po’ di anni.
È quello che il Papa scrive all’inizio dell’esortazione apostolica, invitando non ad una lettura frettolosa o improvvisata, ma a porsi nell’ottica del cambiamento tramite una presa di coscienza graduale che porterà sicuramente frutti in futuro. Papa Francesco si aspetta un legame ancora più forte tra Evangelii Gaudium e Amoris Laetitia: tra i due documenti c’è infatti una tensione che deve tradursi in un’azione pastorale rinnovata. L’ottica è quella della Chiesa in uscita, più attenta alle famiglie e alle persone che incontra.
La sua diocesi è stata una delle prime a proporre un incontro di approfondimento: come valuta l’impatto dell’Amoris Laetitia sul territorio?
Ci stiamo liberando gradualmente, col passare dei mesi, dagli equivoci e dai fraintendimenti provocati dai media.
In primo luogo, dall’equivoco riduttivo che ha fatto concentrare l’attenzione su quello che più immediatamente veniva lanciato alle masse più ampie come messaggio: la questione dei divorziati risposati e delle famiglie cosiddette “irregolari”. La ricezione dell’esortazione apostolica nelle diocesi sta crescendo, nel senso che sempre di più si cerca di entrare nell’animo profondo di Amoris Laetitia, che chiede una mentalità nuova nei confronti in generale dell’amore, collegato alla famiglia e alla vita di famiglia.
Si sta facendo strada, in particolare, la presa di coscienza che ci possono essere tante altre ministerialità, esperienze e professionalità che ci aiutano a leggere la condizione attuale delle famiglie: i rapporti con i figli, la situazione delle coppie, la condizione degli anziani.
Questa è un’idea che è passata, anche grazie al collegamento dell’Amoris Laetitia con il Motu proprio Mitis Iudex, che ha dato ai vescovi la consapevolezza che il loro ministero di giudici all’interno della vita pastorale non è relegato soltanto alla funzione giuridica specifica, ma ad un’evangelizzazione pastorale a tutto tondo, che coinvolge il vescovo e con lui i sacerdoti e i laici competenti in materia. La situazione della famiglia si trova oggi in uno scenario sociale totalmente cambiato e ci obbliga a dotarci di obiettivi a medio e lungo termine.
È la ministerialità laicale, allora, la nuova frontiera?
Dal Concilio Vaticano II in avanti, c’è stata una presa di coscienza della valorizzazione dei carismi legati alla vocazione battesimale e matrimoniale come doni specifici che il Signore fa perché si possa rispondere a situazioni nuove.
Oggi la ministerialità laicale non è più soltanto un’acquisizione teologico-pastorale, ma una chiamata a ristrutturare la pastorale dando dignità a figure non solo competenti in senso tecnico-scientifico, ma di vita.
Figure che permettano alle famiglie di dire quanto è bello aver incontrato nel proprio cammino persone che, in situazioni critiche, sono capaci di portare i pesi gli uni degli altri senza però sostituirsi ad essi. Per realizzare questo obiettivo, ci vuole una Chiesa non chiusa o arroccata sulle regole, ma una Chiesa madre che porta i pesi degli altri.
La ministerialità laicale è la frontiera positiva per la crescita della Chiesa in Italia.
L’Amoris Laetitia raccomanda una maggiore attenzione alla formazione remota e prossima al matrimonio: a che punto siamo, nei nostri corsi per fidanzati?
È una realtà in evoluzione positiva: si è affermata ormai l’idea che non si tratta di corsi, ma di percorsi di fede, dove al primo posto c’è la relazione, più che le regole. Abbiamo ereditato una prassi piuttosto riduttiva: nelle parrocchie spesso il corso per fidanzati è molto accelerato, privo di quella lungimiranza che comporta anche la presa in carico delle coppie dopo il giorno del sacramento.
Tutta la comunità, invece, è corresponsabile del cammino successivo degli sposi, soprattutto negli anni più difficili, che sono i primi anni dopo la celebrazione delle nozze.
Certo, c’è la fatica di accompagnare, ma stiamo andando in questa direzione. La preparazione dei fidanzati deve essere infine una priorità, nella pastorale familiare, da giocarsi non solo nelle diocesi, ma anche in un dialogo tra le diverse diocesi: bisogna imparare a personalizzare i rapporti con gli sposi, che molte volte sperimentano situazioni di mobilità, sul territorio.
Quali passi ulteriori intende fare la Chiesa italiana, per promuovere sempre di più e meglio l’Amoris Laetitia nelle Chiese locali?
La Commissione episcopale che presiedo ha deciso di lavorare molto con il capitolo dell’Amoris Laetitia che riguarda l’educazione e che inevitabilmente, per l’enfatizzazione solo di alcuni aspetti da parte dei media, è stato trascurato. Un impegno, quello educativo, centrale anche negli Orientamenti pastorali della Cei per questo decennio, in cui in primo piano c’è l’educazione come capacità di trasmettere modelli positivi, ma anche come consapevolezza della fragilità che prima o poi avrà bisogno di un abbraccio, del perdono, della grazia della fede.
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