In questo aprile che si preannunciava di fuoco, il Governo aveva davanti due impegni molto delicati sul versante economico: la presentazione del Def (Documento di economia e finanza) entro il 10 e l’approvazione, entro la fine del mese, di una manovra correttiva dei conti pubblici, richiesta dall’Unione europea per evitare al nostro Paese una procedura d’infrazione, di finire cioè “sotto processo”.
Ha scelto di affrontarli in un’unica riunione del Consiglio dei ministri, considerando i relativi interventi all’interno di un’unica strategia.
Questo ha comportato lo slittamento di un giorno per la presentazione del Def e la necessità di ulteriori approfondimenti tecnici. Così, il decreto che contiene la “manovrina” europea e altre misure importanti – come il fondo di un miliardo all’anno per tre anni, destinato alle zone terremotate dell’Italia centrale – è stato approvato con la formula “salvo intese”.
Si parte con il Def, che ha la funzione di fissare le coordinate generali, gli obiettivi e le opzioni di fondo del governo, che però troveranno concretizzazione solo nella legge di bilancio, da presentare in autunno, entro il 15 ottobre. E lì la partita sarà assai più dura e complessa. Con il Def, intanto, l’esecutivo ha innalzato all’1,1% la stima della crescita del Pil (il Prodotto interno lordo, l’indice che misura la produzione di beni e servizi di un Paese), ipotizzando però una frenata (+1% contro il +1,3 previsto finora) nel 2018.
Questo a causa degli impegni da rispettare con l’Europa.
Ma il ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, ha parlato di stime prudenziali e di confidare in sorprese positive. In realtà, sullo sfondo di tutto il discorso c’è la convinzione che il vento europeo stia finalmente cambiando rispetto alle politiche asfissianti di austerità e che quindi si apriranno nel breve periodo anche per l’Italia margini nuovi di movimento. Ciò vale anche per la questione del debito pubblico: il rapporto tra il deficit e il Pil (che è un criterio fondamentale di valutazione) scenderà dal 2,3% al 2,1 ma per arrivare all’1,2 che è il livello richiesto per il prossimo anno e che il governo ha confermato come obiettivo, occorrerebbe in autunno una manovra economica molto severa. Tra le altre misure previste, il Def indica altri 2,8 miliardi di euro per l’attesissimo rinnovo del contratto del pubblico impiego, su cui era stato raggiunto un accordo in novembre e su cui negli ultimi giorni si era levato l’allarme dei sindacati. Confermato, anche se in misura ridotta, l’impegno per le privatizzazioni (su cui la maggioranza è divisa) che però sarà definito successivamente.
Ma il Def contiene anche una sezione denominata Programma nazionale di riforma (Pnr) in cui il governo deve fare il punto dello stato di attuazione delle riforme in atto e degli impegni programmatici per il futuro. Tra questi, il varo entro l’anno di una nuova forma di sgravio contributivo mirato ai giovani per favorire il loro primo impiego; un intervento sui redditi familiari più bassi rendendo vantaggioso il lavoro del secondo percettore di reddito; un allargamento del reddito d’inclusione introdotto con la legge-delega sulla povertà. Per la prima volta vengono introdotti come parte integrante della strategia economia quattro indicatori di benessere equo e sostenibile, relativi a tre aree: lavoro (tasso di mancata partecipazione al lavoro e reddito medio disponibile), diseguaglianza (indice di diseguaglianza), ambiente (emissioni di CO2 e di altri gas alteranti).
Il Pnr contiene inoltre un piano d’investimenti per 47,5 miliardi di qui al 2032. Una prima quota di 25 miliardi è già pronta per essere impegnata sulle grandi infrastrutture della rete dei trasporti e altre somme rilevanti sono previste per le ferrovie regionali e per la rete stradale ordinaria. Altro elemento-chiave del Pnr è lo sviluppo della concorrenza. Il primo disegno di legge annuale risale addirittura al 2015 ed è ancora fermo in Senato (in calendario per il 20 aprile richiederà quasi certamente un voto di fiducia). Il governo prevede di adottare un provvedimento che eviti per il futuro situazioni analoghe (per esempio il decreto-legge).
Per quanto riguarda la correzione dei conti pubblici chiesta dalla Ue e pari a 3,4 miliardi, il governo punta a ottenere la maggior parte delle entrate necessarie attraverso la proroga del cosiddetto “split payment”. In pratica tutte le pubbliche amministrazioni (comprese ora le società controllate e quelle quotate) trattengono l’Iva sulle fatture emesse dai fornitori e la versano direttamente all’erario, impedendo in radice ogni forma di evasione. Altre risorse arriveranno da tagli alle spese dei ministeri, da più tasse per tabacchi e gioco d’azzardo e dalla “rottamazione” delle liti fiscali pendenti in ogni grado di giudizio. Il decreto con queste misure contiene anche altri interventi, come l’aumento dal 25% al 75% della possibilità di sostituire i dipendenti in uscita (“turn over”) da parte dei comuni con oltre 10mila abitanti.