DIOCESI – “Carissimi sacerdoti, carissimi ragazzi e fedeli, grazia e pace a voi nel Signore nostro Gesù. Siamo riuniti per far memoria del Mistero Pasquale. Con questa santa Messa iniziamo il grande Triduo, ricco di memoria della passione, morte e resurrezione di Gesù, memoria in cui si fonda e da cui scaturisce tutta la nostra fede e la nostra stessa Chiesa”.
Lo ha detto il Vescovo Carlo Bresciani, ieri mattina, giovedì 13 giugno, in cattedrale a San Benedetto del Tronto, rivolgendosi ai sacerdoti e religiosi riuniti da tutta la diocesi per la Messa crismale del giovedì santo.
In cattedrale anche molti laici e in particolare i ragazzi cresimandi provenienti da varie parrocchie della diocesi.
Il vescovo ha poi affermato: “Noi qui, questa mattina, siamo un po’ come nel cenacolo, convocati al banchetto in cui Gesù ci consegna il sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, e con esso tutti i sacramenti della fede. È per questo che in questa messa, detta appunto del Crisma, vengono consacrati gli Olii santi, materia dei sacramenti della fede e della Chiesa.
Cari ragazzi, cari fedeli, voi presentate e offrite oggi la materia con la quale verrà conferito il sacramento del Battesimo, della Confermazione e degli Infermi a tutti i fedeli della Diocesi; olii consacrati solo in questa solenne celebrazione e poi distribuiti in tutte le parrocchie della nostra Diocesi a significare in modo tangibile l’unità tra il Vescovo, che la presiede nel nome di Gesù, e tutti i sacerdoti e fedeli della nostra Chiesa. Con l’olio del Crisma sarete unti con l’unzione dello Spirito, voi ragazzi, i nuovi battezzati, ma anche i novelli sacerdoti e perfino il vescovo nella loro ordinazione. Battesimo, Confermazione, Eucaristia, Ordine, Unzione degli infermi: comprendiamo bene come questa celebrazione rimandi alla nascita della Chiesa dal Mistero pasquale di Gesù. Per questo tutti i sacerdoti della diocesi sono qui a concelebrare solennemente in unità con il Vescovo.
Siamo Chiesa in ascolto del suo Signore, generata dalla sua parola e dai suoi sacramenti. È Lui che ha affidato a noi la Chiesa con il compito di renderla “santa e immacolata” davanti a Dio. Carissimi sacerdoti, è questo un compito entusiasmante, un atto di grande fiducia e di amore di Gesù nei nostri confronti. Egli ci ha affidato il tesoro per il quale ha dato la sua vita, la sua amata sposa, la Chiesa.
Quale fiducia e quale tesoro ha posto nelle nostre povere mani! Ci sentiamo così poveri di fronte a tutto questo, oserei dire inadeguati, se confidassimo solo in noi e non nella sua promessa: “io sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28, 18).
Questa Chiesa, la nostra amata Chiesa diocesana, carissimi sacerdoti, è stata affidata proprio da lui a noi tutti; per essa abbiamo accettato di consacrare la nostra stessa vita; di essa dobbiamo prenderci cura con incessante amore, non da soli, ma come presbiterio, coinvolgendo e facendone partecipi sempre di più tutti coloro che sono stati rigenerati nel Battesimo, fortificati dal suo Spirito e nutriti del suo Corpo e del suo Sangue.
La Chiesa, come ogni cosa preziosa, ha bisogno di molta cura, perché resti splendente e venga sempre più purificata da ogni macchia, che purtroppo si è insinuata in lei fin dall’inizio, fin da quell’ultima cena in cui ci fu qualcuno che pensava più a sé e al denaro che al dono di Gesù e, purtroppo, continua a insinuarsi finché la vittoria sul peccato sarà completa. Riuniti attorno alla mensa dell’ultima cena di Gesù, accogliamo l’invito, che sento rivolto in primis a me, e che san Paolo rivolge al diletto discepolo Timoteo: “ravviva il dono che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza” (2Tim 1,6-7).
Ravviviamo l’ardore di carità con il quale abbiamo, all’inizio, donato la nostra vita e abbiamo detto con entusiasmo il nostro sì a nostro Signore. Non dobbiamo essere timidi in questo, niente deve trattenerci. Il nostro sì deve essere sempre rinnovato non con “spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza”. Vorremmo poter dire con san Paolo, che non ci ferma “la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada […] Ma [che] in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati […] che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore (Rom 8, 36-39). Quale mirabile confessione di fede e di amore: è quella che ha ispirato san Paolo in tutto il suo fecondissimo ministero e che dovrebbe ispirare sempre il nostro.
Noi curiamo veramente la nostra Chiesa quando, con umiltà, non cerchiamo di andare per conto nostro, secondo i nostri gusti o le nostre opinioni – questo lo sappiamo bene -, ma quando insieme con i nostri fedeli, guidati dal Magistero, cerchiamo di ascoltare e discernere “ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 2, 17), come si esprime san Giovanni nell’Apocalisse. Chi va da solo, pensando di andare più veloce, non va lontano, e la sua opera rischia di finire insieme con lui. Solo insieme si costruisce per un futuro che dura. Questo hanno fatto gli apostoli e questo ha sempre fatto la Chiesa.
Per questo, la nostra cura della Chiesa (che è poi anche e inscindibilmente cura di noi stessi) parte dall’essere perseveranti nel quotidiano ascolto e meditazione della Parola, così come ci è interpretata dalla Chiesa stessa. Molti sono gli impegni che assillano la nostra vita pastorale; alcuni di essi (di natura burocratica e materiale), che ci assorbono anche molto tempo, sembrano lontani e distraenti da una piena dedizione alla preghiera e alla cura delle persone che ci sono affidate e a volte ne soffriamo. Ma sappiamo che un padre, che ama la propria famiglia, non può disinteressarsi dei bisogni della casa materiale, onde renderla più accogliente per i figli: facendo questo non fa altro che dare corpo all’amore alla famiglia e ai figli.
Ma non possiamo dimenticare che anche i figli possono essere di valido aiuto nella cura della casa, cioè della nostra Chiesa; se coinvolti e corresponsabilizzati, come è richiesto dal loro Battesimo, oltre che sollevare noi da alcune incombenze, a loro volta impareranno ad amare e curare la Chiesa che abitano.
Carissimi sacerdoti, è questa la strada di una sempre maggior corresponsabilità diffusa nella Chiesa, o sinodalità secondo una parola oggi in voga, da cui non possiamo che attenderci nuova vitalità e nuovo vigore di comunione. È la strada che porta alla Chiesa-popolo di Dio che il grande Concilio Vaticano II ci ha indicato con profondità di dottrina.
La perseveranza, anche nei momenti della fatica che ci mettono alla prova, fatica accentuata forse talora dall’impressione di un cammino troppo lento e con poche risposte confortanti, da qualcuno che tira indietro, noi l’attingiamo dalla preghiera e dall’affidarci alla Parola di Gesù, che non delude mai.
Ecco perché, carissimi sacerdoti e miei preziosi collaboratori nel ministero, è veramente importante non solo la fedeltà alla nostra preghiera personale, a tu per tu intimo con nostro Signore, ma anche la perseveranza nel trovarci insieme a pregare nell’ascolto assiduo della Parola di Dio, nei ritiri mensili e negli esercizi spirituali annuali. Non si tratta di momenti secondari nel nostro compito di prenderci cura di noi stessi e della Chiesa che Gesù ci ha affidato.
Il programma pastorale di quest’anno aveva come tema la “perseveranza nell’insegnamento degli apostoli” (At 2, 42). Accogliamolo come programma di vita. “La perseveranza non è clamorosa, non strappa applausi, ma è la virtù che fa avanzare la barca della comunità … Fede nuda è perseverare, anche nella burrasca, certo che Dio è sulla mia barca, che intreccia il suo respiro con il mio, la sua rotta con la mia. Magari addormentato. Magari muto. Ma se parla è per amore, se tace è ancora per amore” (E. Ronchi).
Carissimi confratelli nel sacerdozio, ci prepariamo a celebrare la memoria liturgica dell’ultima cena: questa sera la celebreremo con i nostri fedeli e ci metteremo in ascolto della sua parola e in adorazione del suo Corpo donato per noi e per tutti. Quel Corpo l’ha affidato a noi e, con esso ci ha affidato la sua sposa, la Chiesa. Con profonda gratitudine, amiamola dello stesso suo amore, prendiamocene insieme cura come della cosa più cara che abbiamo, nella certezza che lui è sempre con noi.
E voi, carissimi ragazzi, pregate per noi sacerdoti e per la nostra Chiesa alla quale chiedete i sacramenti della fede. Noi abbiamo bisogno delle vostre preghiere e del vostro aiuto. Imparate ad amare la Chiesa come l’ha amata Gesù.
Buona Pasqua a tutti voi e alle vostre comunità parrocchiali, carissimi confratelli. Il Signore sia sempre la vostra gioia e la vostra pace”.