Seguirà il Papa nella sua visita in Egitto, parteciperà alla conferenza internazionale di pace di al-Azhar e pregherà con altri patriarchi al “Muro dei martiri” nella chiesa di san Pietro, attaccata dall’Isis lo scorso dicembre. “Anche noi abbiamo martiri nella nostra chiesa. Sono 14 anni che soffriamo, piangiamo fedeli, sacerdoti, un vescovo. Portiamo i nostri martiri nel cuore”. Il patriarca della Chiesa caldea, Louis Raphael I Sako, è in partenza per l’Egitto, dove parlerà alla conferenza per la pace (28 aprile) di al-Azhar, che vedrà anche l’intervento di Papa Francesco, in una delle tappe del suo viaggio apostolico (28 e 29 aprile) al Cairo.
Beatitudine, la pace è il tema della conferenza di al-Azhar come anche del viaggio papale, “Il Papa della pace nell’Egitto della pace”. Lei parteciperà al convegno, cosa dirà nel suo intervento?
Ribadirò che le autorità religiose devono fare tutto il possibile per la pace, riconoscendo l’altro, rispettando i diritti dell’uomo, promuovendo la separazione tra religione e Stato e dando priorità alla cittadinanza e non alla religione che resta una scelta personale. Uno Stato in cui tutti i cittadini sono uguali e hanno gli stessi diritti.
È necessario sconfiggere l’ideologia fondamentalista, una vera epidemia, attraverso un insegnamento aggiornato, aperto, parlare delle altre fedi e religioni con rispetto e positività e non cercare di evidenziarne le differenze.
Tutti sono fedeli. Non solo i musulmani. Non fare degli altri credenti un obiettivo. Questa mentalità va cambiata.
Sin da quando era arcivescovo di Kirkuk ha sempre ricercato il dialogo e l’incontro con l’Islam. È solo questa la strada da seguire?
Non c’è altra soluzione che il dialogo. Le armi producono violenza, morte, distruzione, rifugiati, sfollati. Dialogando, invece, si possono intravvedere delle soluzioni. Dal dialogo e dalla conoscenza possono scaturire perdono e riconciliazione. Ma serve la collaborazione di tutti.
Vivere nel passato, nelle vecchie ferite, covando vendetta non serve a nulla. Per costruire un futuro di pace serve anche il perdono reciproco.
Al-Azhar sembra aver intrapreso questo cammino come testimoniano la prossima conferenza di pace e il congresso islamo-cristiano del febbraio scorso, cui lei ha partecipato insieme al patriarca maronita, card. Bechara Boutros Rai, sul tema “Libertà e cittadinanza: differenze e integrazione”…
Sì, ma ci vuole coraggio. Senza coraggio non esiste futuro. Oggi non si può più parlare in termini di maggioranza e minoranza ma di cittadini con eguali diritti e doveri.
Credo che il mondo islamico stia prendendo coscienza che senza i cristiani non può fare molto perché l’esperienza cristiana in Medio Oriente produce apertura.
In occasione del congresso del febbraio scorso, con il card. Boutros Rai, abbiamo incontrato il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi che ha ribadito che non si può più parlare di copti e musulmani, di maggioranza e minoranza, ma solo di egiziani. Per arrivare a questo traguardo occorre fronteggiare il fondamentalismo, brodo di coltura del terrorismo che minaccia cristiani e musulmani. Dobbiamo essere uniti contro questa ideologia. La comunità internazionale cerchi chi finanzia i terroristi.
Ma come evitare che una religione possa radicalizzarsi diventando un’ideologia da imporre con il terrore?
Lo ripeto. Va proposto un insegnamento moderato della religione, cercando di evidenziare i punti in comune con altre fedi, non erigere muri, barriere tra gli uomini. Le religioni vanno accettate.
L’Islam è chiamato al suo interno a una esegesi del testo, dei versetti, contestualizzandoli. Insegnamenti aperti, positivi e rispettosi.
Che senso ha oggi parlare male di ebrei e cristiani, che pericolo rappresentano? Forse potevano esserlo al tempo di Maometto. Ma oggi? I cristiani in Iraq sono meno di 500mila che pericolo rappresentano per i musulmani? Siamo persone pacifiche.
Nel videomessaggio per la sua visita in Egitto, Papa Francesco ha affermato di venire “come amico e come messaggero di pace”. E poi ancora: “Desidero che la mia visita sia un abbraccio di consolazione e di incoraggiamento a tutti i cristiani del Medio Oriente”.
Papa Francesco viene per abbracciare anche i musulmani per un nuovo rapporto amichevole e fraterno. Non viene solo per i cristiani. Vuole parlare di riconciliazione, di conversione del cuore, di apertura. La sua vicinanza a questa Chiesa perseguitata è enorme ma lo è anche per i musulmani.
La visita sarà un intenso appello alla pace, alla sicurezza e alla stabilità del Paese.
Stabilità e sicurezza sono urgenze anche in Siria e Iraq, paesi in guerra dove il terrorismo è dilagante. Come risolvere queste crisi?
Prima di tutto occorrono governi forti che sappiano garantire sicurezza a tutti i suoi cittadini e ordine al suo interno. Poi mettere fine ai discorsi di quegli Imam che incitano alla violenza. Alla sconfitta militare dei terroristi deve corrispondere anche la loro sconfitta sul piano religioso e culturale. La sfida più grande dell’Islam è porre fine all’ideologia terrorista. I musulmani devono confrontarsi con questa mentalità come anche il mondo intero. Anche gli sciiti devono fare la loro parte.
Sciiti e Sunniti devono essere uniti, riconciliarsi e collaborare con tutti per il bene dei loro Paesi.
Quali riflessi potrà avere questo viaggio in Egitto per il Medio Oriente?
Papa Francesco è un sacerdote profeta. Sa pregare e indicare le giuste azioni da intraprendere per costruire la persona umana, per aprire l’orizzonte verso un futuro migliore. Porta consolazione e sostegno morale, umano e spirituale come solo un Papa sa fare. Riesce a dare senso a tutto, scopre e legge i segni dei tempi e aiuta a interpretarli. Ciò che dice esce dal suo cuore che è quello di un profeta di oggi.
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