ZENIT / di Patrizia Caiffa

VENEZUELA – “Non ho mai visto una situazione così dura, temo che la violenza aumenterà”. È sconfortato il cardinale Baltazar E. Porras Cardozo, arcivescovo di Mérida in Venezuela, di passaggio a Roma per partecipare all’incontro del Forum internazionale dell’Azione Cattolica. Il neo-cardinale Porras ha incontrato il 27 aprile in Vaticano Papa Francesco e il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, per raccontare quanto sta accadendo nel suo Paese, dopo quasi un mese di proteste in piazza contro il governo di Nicolàs Maduro e una feroce repressione che ha provocato una trentina di vittime, soprattutto tra i giovani. L’ultimo atto di Maduro è stato convocare una nuova Assemblea nazionale costituente, il cui compito sarà riformare lo Stato e redigere la nuova Costituzione. I leader dell’opposizione, che guidano un Parlamento quasi esautorato di poteri e chiedono invece nuove elezioni, temono un golpe di Stato e una deriva ancora più autoritaria. Mentre la popolazione è allo stremo per la mancanza di cibo e medicine. “Bisogna trovare una soluzione pacifica e non armata – sottolinea il cardinale Porras -. Non è la violenza la soluzione”.

Cosa vi siete detti con Papa Francesco? Ci sarà una nuova mediazione del Vaticano, dopo il tentativo fallito dello scorso anno?
Ho parlato con il Papa per più di un’ora, è stato molto interessante. Non si sa se il Vaticano farà una nuova mediazione: nella condizione attuale è quasi impossibile perché il governo non vuole trovare nessuna via nuova. La lettera che il cardinale Pietro Parolin ha inviato il 15 dicembre scorso è il punto nodale per poter parlare di dialogo.Il Papa è molto preoccupato. Ci chiede cosa si può fare ma nessuno lo sa, perché la violenza e la repressione peggiorano. Tanti giovani sono uccisi dai colectivos, i gruppi armati che difendono il governo. Anche il cardinale Parolin è preoccupato e informato su tutto ma quasi tutte le vie sono chiuse. La sua lettera è importante non solo per il dialogo ma per la situazione del Paese. Noi abbiamo cercato tante strade possibili ma è difficile perché il governo non intende parlare con nessuno. Vuole fare solo quello che vuole.

Qual è la situazione nella sua diocesi, Mérida?
Mérida è una città universitaria di 200.000 abitanti, ospitiamo la seconda e più importante università del Paese, per cui circa la metà sono giovani. Gli studenti organizzano continue manifestazioni, la repressione è pesante. Questa settimana ne sono morti due, la situazione è veramente difficile.

Teme che la situazione di tensione durerà a lungo?

Temo che la violenza aumenterà. Non ho mai visto una situazione così dura, è peggio del passato.

Come Conferenza episcopale fate continui appelli per la pace e il dialogo, ovviamente inascoltati…
Non è facile parlare di pace in mezzo a tutta questa violenza, non si sa come trovare la strada per dare speranza alla gente. C’è tanta fame e mancano le medicine, non si vede la luce in fondo al tunnel.

Sperate che la pressione internazionale vi possa aiutare?
Sì, certo! Speriamo che la Spagna, l’Italia, l’Unione europea e gli Stati Uniti facciano pressione. Mai perdere la fiducia e la speranza. Anche tante Conferenze episcopali – tra cui il Brasile, l’Argentina, il Paraguay, l’Ecuador, la Colombia – ci sono vicine.

L’opposizione dice questa situazione di tensione può terminare solo con le elezioni.
Sì, sono d’accordo. Bisogna trovare una soluzione pacifica e non armata. Non è la violenza la soluzione.

 

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