ZENIT / di Anita Bourdin
Alla fine dell’Udienza generale di mercoledì 3 maggio, papa Francesco ha salutato la giovane yazida Nadia Murad Taha Yezidi, sopravvissuta al traffico di esseri umani.
Nominata lo scorso anno per il Premio Nobel per la Pace, la giovane donna è la prima Ambasciatrice di Buona Volontà dell’ONU per la dignità dei sopravvissuti alla tratta degli esseri umani. Questa onorificenza le è stata conferita dall’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC).
Fatta prigioniera nell’estate 2014 dai miliziani dell’ISIS, la giovane irachena venne come tantissime altre donne della minoranza yazida venduta più volte come schiava, diventando vittima di stupri e ripetute torture e violenze. Dopo tre mesi riesce a sfuggire quasi miracolosamente ai suoi aguzzini.
Nel corso della sua prima sessione dedicata al tema della tratta di esseri umani, Nadia Murad, classe 1993, ha raccontato il 16 dicembre 2015 la sua sconvolgente esperienza davanti al Consiglio di Sicurezza ONU a New York.
Nell’occasione, l’allora Segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, esortò i Paesi membri dell’ONU a ratificare e attuare in toto la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale e il relativo Protocollo sulla tratta di esseri umani, così come tutti i diritti umanitari internazionali fondamentali e strumenti umanitari. Ban Ki-moon chiese inoltre ai governi, alle imprese e agli organismi di sostenere il fondo fiduciario volontario delle Nazioni Unite per le vittime della tratta di esseri umani.
Le due vincitrici del Premio Sacharov 2016, Nadia Murad e Lamiya Aji Bashar, appartengono entrambe alla minoranza yazida, un’etnia curda che professa una religione monoteista, lo Yazidismo, forse di origine iraniana, che presenta sia antiche credenze curde che elementi provenienti dall’islam sunnita e dal sufismo, e persino dal cristianesimo.