Di Silvia Rossetti
I dati più recenti registrano che due adolescenti su dieci ne sono colpiti. Sindromi, in qualche modo antitetiche, che si manifestano con una ossessiva selezione e un eccessivo controllo dell’apporto calorico del cibo, fino ad arrivare al vero e proprio rifiuto degli alimenti (anoressia); oppure la parabola opposta, l’abbuffata di cibo fino a non saziarsi mai (bulimia).
Qualcuno ebbe a chiederle quale fosse, secondo lei, “la frase d’amore più vera” e pare che la nota scrittrice Elsa Morante avesse risposto con una domanda: “Hai mangiato?”.
È una richiesta che troverebbe pari dignità sia in un romanzo di formazione proustiano, che tra le battute di uno dei personaggi della filmografia morettina. Quanti di noi, senza esitazione, potrebbero affermare di saper ritrovare nelle narici odori legati all’infanzia o alla prima giovinezza, o di saper tornare anche solo col pensiero ad assaporare antiche fragranze al suono di quella frase materna? E quanto sono distanti da questi rimandi a una sorta di mitica età della felicità perduta le posizioni degli adolescenti di oggi rispetto alla “questione” dell’alimentazione?
Molto, la distanza è marcata. La prospettiva rovesciata. Infatti l’alimentazione assume sempre più il profilo di una delle tante “questioni” legate ai difficili percorsi della prima giovinezza.
DCA li chiamano medici e psicologi: sono i disturbi del comportamento alimentare. Talmente diffusi da allarmare specialisti, scuola e famiglia. I dati più recenti registrano che due adolescenti su dieci ne sono colpiti. Sindromi, in qualche modo antitetiche, che si manifestano con una ossessiva selezione e un eccessivo controllo dell’apporto calorico del cibo, fino ad arrivare al vero e proprio rifiuto degli alimenti (anoressia); oppure la parabola opposta, l’abbuffata di cibo fino a non saziarsi mai (bulimia).
Questi gli effetti: lunghi digiuni, l’ammalarsi dentro e fuori, il mutarsi d’aspetto e trasformarsi, l’allontanarsi e l’allontanare tutto e tutti, il ricorrere a farmaci, o il finire in ospedale, il compromettersi seriamente.
Ma le cause? “Quod me nutrit me destruit”, tanto per restare nel campo delle citazioni. Questa è rimbalzata parecchie volte e ha dato il titolo a un docufilm di Ilaria De Laurentiis. Ciò che mi nutre, mi distrugge: la traduzione. All’origine dei DCA pare ci sia un disagio di tipo affettivo, che non a caso emerge nel rapporto col cibo. Il legame col cibo è evidentemente il legame materno, evidenziano gli psicologi. E quindi riguarda la percezione del sé, la definizione dell’autostima e del senso di autonomia, l’equilibrio sentimentale, l’identificazione dell’io, l’emancipazione. Pare che, tramite il controllo del cibo e della fame, si tenti di raggiungere il superamento di ogni forma di dubbio e di conflitto. L’obiettivo centrale sarebbe quello di liberarsi definitivamente dei bisogni. L’anoressia e la bulimia diventerebbero quindi facce della stessa medaglia (a volte si assiste al passaggio da un disturbo all’altro). Chi vive gli impulsi bulimici sarebbe più a contatto con i propri vissuti di vuoto profondo, causati da insoddisfazione. La sensazione di pienezza provocata dal cibo rappresenterebbe un tentativo estremo di accaparrarsi tutto l’amore del mondo.
Tutto quindi ci riporta al nostro incipit e alla semplice domanda d’amore, di fronte alla quale le società più evolute (perché è lì che si manifestano maggiormente questi disturbi) pare abbiano perso la capacità di rispondere. L’amore occidentale non sazia, ha perso la schiettezza della semplicità.