di M. Michela Nicolais
“Abbiamo una Madre”. Lo ha ripetuto tre volte, una delle quali a braccio, Papa Francesco, durante l’omelia della Messa celebrata nella spianata della basilica di Nostra Signora del Rosario di Fatima. Davanti a lui, 500mila persone che poco prima avevano sentito proclamare santi Francesco e Giacinta Marto, i due pastorelli di Fatima che sono diventati i primi due santi bambini non martiri della storia della Chiesa. Altrettanto sterminata la folla che la sera prima, dopo la preghiera privata nella “Cappellina delle Apparizioni” – circa dieci minuti, in piedi, in silenzio davanti alla statua della “Signora”, una delle istantanee più commoventi del suo 19° viaggio apostolico internazionale – aveva ascoltato il primo discorso pubblico del Papa, dopo le benedizioni delle centinaia di migliaia di candele che hanno rischiarato la notte. Molto intenso e prolungato anche il commiato del Papa, che al termine della Messa, come tutti gli altri fedeli, ha agitato commosso il fazzoletto bianco, per salutare la statua della Madonna di Fatima mentre veniva portata via dal palco
La speranza è come un’ancora in cielo, dice il Papa nell’omelia del 13 maggio citando le “innumerevoli benedizioni che il cielo ha concesso lungo questi cento anni, passati sotto quel manto di luce che la Madonna, a partire da questo Portogallo ricco di speranza, ha esteso sopra i quattro angoli della terra”. Con davanti agli occhi gli esempi di san Francesco e santa Giacinta Marto, il Papa dà voce ad un moto interiore: “Grazie, fratelli e sorelle, di avermi accompagnato! Non potevo non venire qui per venerare la Vergine Madre e affidarle i suoi figli e figlie”.
Fatima è un manto di luce, quello della “Signora”, che avvolge tutti, nessuno escluso, perché nessuno dei suoi figli si perda. Francesco affida alla Madonna di Fatima, in particolare, i malati e i disabili, i detenuti e i disoccupati, i poveri e gli abbandonati. E cita una lettera di suor Lucia, traduzione di una visione di Giacinta che sembra evocare perfettamente questa giornata di maggio.
“Non vedi tante strade, tanti sentieri e campi pieni di persone che piangono per la fame e non hanno niente da mangiare? E il Santo Padre in una chiesa, davanti al Cuore Immacolato di Maria, in preghiera? E tanta gente in preghiera con lui?”.
“Non vogliamo essere una speranza abortita! La vita può sopravvivere solo grazie alla generosità di un’altra vita”. Ancora la speranza, nella parte finale dell’omelia, dove c’è spazio per una lettera scritta da suor Lucia, il 28 febbraio 1943: “Nel chiedere ed esigere da ciascuno di noi l’adempimento dei doveri del proprio stato, il cielo mette in moto qui una vera e propria mobilitazione generale contro questa indifferenza che ci raggela il cuore e aggrava la nostra miopia”.
“Sotto la protezione di Maria, siamo nel mondo sentinelle del mattino che sanno contemplare il vero volto di Gesù Salvatore, quello che brilla a Pasqua, e riscoprire il volto giovane e bello della Chiesa, che risplende quando è missionaria, accogliente, libera, fedele, povera di mezzi e ricca di amore”, l’augurio Francesco.
“Se vogliamo essere cristiani dobbiamo essere mariani”. Il 12 maggio, Papa Francesco ha ripetuto le parole di Paolo e ha abbracciato quelli che ne hanno più bisogno: i diseredati e gli infelici, gli esclusi e gli abbandonati a cui si nega il futuro, gli orfani e le vittime d’ingiustizia a cui non è permesso avere un passato.
“Ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto”, l’invito che sa di mandato missionario.