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Per la nostra rubrica questa settimana abbiamo intervistato Lorena Ulpiani
Lorena Ulpiani, marchigiana d’origine, padovana d’adozione. Studia lettere con indirizzo artistico, laureandosi all’Università di Verona. Giornalista, lavora come cronista per oltre 20 anni, ma non abbandona mai i colori. Appassionata di locomotive a vapore. Il suo interesse per i diritti umani, negli anni ’90, la porta a lavorare come giornalista per i Cree, autoctoni del Nord del Quebec. Affascinata dal linguaggio geometrico, del Grande Nord studia gli aspetti legati al colore. Così come li studia in tanta arte sacra, dall’Europa alla Cina, al Tibet.
Ha esposto, con personali o in collettiva da Londra a New York, da Vienna a Parigi, da Montecarlo a Roma, a Barcellona. Le sue opere sono in collezioni private e pubbliche.
Perché si dipinge? Perché si crea? Cosa intendi trasmettere con le tue opere?
“Una linea è un punto che è andato a fare una passeggiata” diceva Klee. Mi piace essere quel punto, in tutta la sua libertà, la sua essenzialità e il suo mistero; la sua bellezza. Mi piace dare forma a quell’andare, nell’infinito. Nel Sé superiore, nella memoria collettiva. Nel pulsare della luce e della materia.
La pittura è avanguardia del linguaggio estetico e al tempo stesso, orizzonte della percezione, oltre il visibile. E’ atto di creazione con la mente, oltre la mente. E’ quello stato meraviglioso dell’essere che annulla l’impossibile. Dove ciascuna emozione, si scioglie in un “silenzio” che vibra in onde senza fine, generando luce, forme, colori, note. Creare, quindi, come crescita interiore; ma anche, come partecipazione evolutiva. Estetica; essere canale di dimensioni diverse; di pace, di bellezza. Credo sia proprio questo, sul piano emozionale, quello che chiedo alla mia pittura: serenità, bellezza, armonia, luce: un codice del “risveglio”.
Se dovessi spiegare in poche righe il tuo pensiero artistico ad un ragazzino, cosa gli diresti?
Siedi e guarda l’opera, come guarderesti il mare. Ascoltala, scrutala, lascia che affiori ciò che desideri e seguilo, da una figura all’altra, fino a sentirti e vederti nel quadro. Fino a essere il quadro, o una sua parte.
Io ci ho messo l’universo, il suo lento andare, i suoi centri che pulsano, la forza della luce che abbaglia, scioglie, crea. Ci ho messo il mio andare. La mia energia. Ma quello che tu e il quadro vi direte, sarà solo vostro. L’arte è libertà. Una libertà che si conquista con molto studio e tanta tecnica: studio e tecnica, non per giudizio o per “prigione”. Studio e tecnica, come alfabeto per il tuo viaggio nel tempo. Nella pittura attraverso i secoli, le epoche, le fantasie. Le paure e i sogni. Le cadute e i voli. Che parlano tante lingue… ma che tu, puoi sentire, leggere.
E un giorno, anche tu potresti trovarti a scrivere, a tua volta.
Pensi che l’arte possa incidere nell’educazione e nella cultura? Perché l’Italia è così disattenta alle sue opere d’arte?
L’arte crea ed esprime al tempo stesso la cultura di ciascuna epoca e dei diversi luoghi. Partecipa all’evoluzione della forma pensiero di ogni tempo. L’Italia sconta una immensa, “viscerale”, diffusa ignoranza nelle stanze del potere. Basti ricordare la scelta grottesca di coprire i nudi esposti in Campidoglio per la visita ufficiale del presidente iraniano Hassan Rohani. Nella cronaca di quelle 48 ore c’è la misura di quanto i “Palazzi” abbiano perso l’essenza della propria cultura e del ruolo che il nostro Paese è chiamato a ricoprire sul piano internazionale per l’arte. La bellezza, la profondità, la nobiltà del patrimonio che la storia ha consegnato all’Italia. Una responsabilità che non è recepita e che di conseguenza, non è rispettata, a partire dalle politiche di programmazione economica.
Altro è il sentire del cittadino: che invece, cerca l’arte e sempre più spesso… la cerca all’estero.
Ciascun taglio alla cultura, altro non è che “vocazione” all’involuzione. Credo che ogni conquista italiana nell’arte, in questa fase, abbia un valore enorme, perché esiste… nonostante tutto. Nonostante l’involuzione in atto.
Questo è il Paese che è riuscito a cancellare da gran parte del sistema formativo lo studio del latino. Quindi delle proprie radici linguistiche e non solo, nel silenzio generale. Mentre qualche forza “politica” fa proselitismo sui dialetti. Che altro dire? Spero che gli stranieri abbiamo abbastanza forza, per ricordarci la grandezza artistica e culturale del Paese nel quale viviamo. Alcuni di loro lo stanno già facendo, dal vertice dei nostri grandi musei.
Il tuo ricordo più bello legato all’arte? Le tue iniziative artistiche?
Sono tanti, tantissimi i ricordi meravigliosi legati all’arte, in questo mi sento strordinariamente fortunata. Ne scelgo a fatica uno, fra i più recenti e importanti: l’incontro con il maestro Vico Calabrò, il primo corso di affresco e l’avvio di un percorso che mi sta dando tantissimo.
Erano anni che speravo di far coincidere le ferie con un suo corso. Due anni fa, il sogno si avvera. Mentre ero in spiaggia a Cupramarittima (Ap) mi arriva la comunicazione: ero stata accettata fra gli otto allievi di un corso, tenuto personalmente dal maestro Calabrò a Ponte Nelle Alpi (Bl). Mi si prospettavano 1500 chilometri in giorni di traffico da bollino nero ma il richiamo era forte, fortissimo. L’affresco è un amore che ho dai tempi dell’università, poterlo praticare era stupendo. Avrei lavorato seriamente, avrei fatto altri corsi e dopo, avrei chiesto al maestro Calabrò di accogliermi fra gli allievi della sua Scuola internazionale, FrescoPolis. Tutto si mise a correre e in due giorni… un altro “miracolo”. Calabrò mi prese in disparte: ero pronta per andare oltre gli insegnamenti di quel corso ed era lieto di avermi tra gli allievi della sua Scuola. Da quella mattina, che ricordo come fosse ora, tanto è stata intensa l’emozione, sono nati studi e progetti.
E’ di queste settimane l’avvio di due Centri permanenti per l’affresco legati a FrescoPolis, coordinati da me.
Uno ad Albignasego (Pd), il mio comune d’adozione, con le prime lezioni propedeutiche al Liceo di scienze umane Duca d’Aosta di Padova, dove sto realizzando un’opera 2,5×1,5 metri per il Progetto DUdA – Duca d’arte. L’altro, nelle Marche, a Cupramarittima dove sono cresciuta, con il primo corso in giugno, dal 4 all’11. La sede operativa sarà nella mia vecchia casa. Il dramma del terremoto sta ovviamente rallentando la programmazione del lavoro, altre sono le priorità dei Comuni come Ascoli Piceno che avrebbero accolto volentieri il cantiere. In questo senso, mi piacerebbe portare il primo affresco-cantiere ad Arquata: un cenno di rinascita che nel colore riporti la speranza.
Ma se da un lato amo le tecniche antiche, dall’altro il mio astrattismo geometrico e l’interesse per la fisica quantistica, proiettano la mia intuizione verso il futuro. E’ nato così, nel 2015, sposando le tesi del sociologo padovano Gian Paolo Prandstraller, “99Quanti – Gruppo di ricerca arte e quantistica”: un laboratorio internazionale, pronto a presentarsi entro l’autunno con una terza mostra che accoglierà anche gli stranieri.
Sono infatti convinta che la sfida per l’arte contemporanea, stia da un lato nella nuova visualizzazione; dall’altro, mi si passi il gioco di parole, nella visualizzazione del nuovo.
E ciò a prescindere dalla tecnica: valgono il digitale o l’opera “generativa”, quanto la pittura materica o l’affresco. Le frontiere della scienza, la fisica teorica in particolare, hanno mandato “in pensione” un universo immobile, eterno, rivelato. Mostrandone un altro, dove tutto è trasformazione; dove lo spazio è animato da dimensioni coesistenti, da particelle minimali, da onde, da energie. Dove vuoto e pieno non sono più gli stessi. Dove il tempo non è più unidirezionale. Basta leggere un saggio di Carlo Rovelli, ricercatore italiano fra i più capaci nel fare anche divulgazione, per aprire gli occhi sulla straordinarietà dell’epoca che stiamo vivendo. Faccia, chi vuole limitarsi ai dibattiti sulle correnti del passato. O fermarsi a un wc d’oro o a un concettualismo vecchio “nell’anima”. L’intuizione crea “oggi” un contatto potente tra fisica e arte, tra creatività e scienza, tra visione e sperimentazione. Tra materia e vibrazione, impulso e onda. Questo per me è contemporaneità, anche in arte. Facendo tesoro del passato, della materia e dei suoi segreti, proprio nel coraggio del futuro.
Arte come altruismo o arte come esaltazione del se’?
Arte come soffio di quel Sé che è “Universo”, che è eterno andare. Quindi, Arte come vibrazione; risveglio del proprio Sé e unione con il Tutto, il Sé Superiore. Arte come crescita interiore, come sublime sentire dello scorrere creativo da altre dimensioni, come consapevolezza della libertà propria dell’atto creativo, dell’immenso dono che la vita ci fa.
Arte come altruismo nel contribuire al cammino collettivo, al risveglio, al dialogo, alla contemplazione di infiniti specchi, essenza di vita. Altruismo, anche come impegno sociale nei contenuti, intesi però non solo come denuncia o provocazione ma come valore, praticato con autenticità nella vita di tutti i giorni. Arte nell’essere portatori di serenità, di pace, di luce; tutto spinto quasi al misticismo, al confine con altre dimensioni. Al dialogo più intimo con l’Universo. E arte, come sublime atto estetico.
Arte come partecipazione, concettuale e materiale, a campagne solidali, nel sostegno di progetti in Paesi meno fortunati, di attività ospedaliere e mediche a favore di popoli in difficoltà, di tutto ciò che contribuisca a portare gioia.
Tanto più è forte l’Arte, tanto più l’esaltazione del Sé si scioglie in “estasi” e si esprime in altruismo, in quel donare e donarsi al mondo. Di contro: tanto più il “creare” è manifestazione di ego, tanto meno è “Arte”.
In questo senso ritengo che tutti siamo artefici ma che solo il tempo e la storicizzazione dirà chi è artista. L’artefice è colui che crea… non mi sembra che ciò sminuisca alcuno. Esigenza di fare chiarezza, avvertita già nei decenni scorsi, partecipe anche il padovano Angelo Rinaldi, maestro di profilo internazionale, che aveva portato alla stesura di un documento che proponeva una riflessione sul termine “artista”, intuendo già allora il rischio di quella confusione che oggi… purtroppo, è realtà, nell’abuso spesso a sproposito, snaturata, della parola arte.
Il tuo mondo di fantasia è popolato da …..
Da forme, da colori che a volte si lanciano in grandi slanci, altre volte si placano in un andare lento, un volo che plana libero, attraversando dimensioni diverse. Più materiche, dove l’esistere si apre e si richiude, si unisce e si scinde al solo sguardo. Più aeree, dove si è parte di orizzonti in continua trasformazione. Più liquide, dove domina il senso dello scorrere, che però non ha gravità; dove giocano cascate improvvise e milioni di particole di luce. Più intime nella materia, fino al fuoco “sacro”, al centro dell’esistere, a quel consumare che tutto rigenera e ricrea nella più totale imprevedibilità. E’ un mondo popolato di spazi, di prospettive appena percettibili, pronte a scomporsi e ricomporsi al solo sguardo. Di un mondo di colore che rifugge la violenza, alimentando luce, armonia, silenzi che vibrano di infinito, di leggerezza. Di un esistere oltre ciò che la mente può accogliere, o esprimere. Fino a sentirsi canale e creatore insieme di una nuova vita che è “opera”.
Un mondo, popolato da un universo di forme e colori nel quale dialogano libere anche le vibrazioni dei grandi maestri del passato, non solo astratti. Tanti linguaggi che alchemicamente si ricompongono in uno. Espressione di infinito.
I tuoi traguardi? Le grandi soddisfazioni?
Sul piano personale, il traguardo è crescere. Percorrere il mio sentiero, alimentando la forza della creatività, dell’intuizione, della visione. Centralità di questa fase della mia vita.
Sul piano culturale, è dare un segnale oltre l’appiattimento globalizzante che stiamo vivendo. Segnale che arrivi dall’intuizione, dal visualizzare oltre il “gregge”, oltre il mercato. Oltre quest’arte ostaggio di giochi speculativi e di manovre rispondenti a ben altre logiche.
Le soddisfazioni, direi che possono riassumersi in una: vivere tutto ciò che la creatività mi sta donando, dentro e fuori di me. Perché fare dello studio dell’arte e della pratica di una o più discipline artistiche,la mia vita, ritengo sia fra i più grandi doni. Non ci sono soldi, non c’è carriera, non c’è potere… Davanti a quel silenzio che parla dentro, il resto svanisce.
I tuoi progetti futuri?
Studiare, viaggiare, scoprire, conoscere, confrontarmi; contaminare e lasciarmi contaminare; sperimentare. Lasciare che il mio linguaggio maturi e manifesti frammenti del mio “universo” e del mio essere. Addentrami ancora di più nello studio delle antiche tecniche: con l’affresco, con il mosaico; ma anche con la pittura a olio che nelle pieghe dei secoli ci tramanda segreti straordinari. Progetti lontani dal pronto e subito, da ciò che può essere comperato con denaro, dall’arte delle “scorciatoie”, dei tubetti “sconosciuti”. Anche da quella delle forzature concettuali. Ciò che voglio, è l’arte delle conquiste, del lavoro, della dedizione. Quell’arte che ha spesso ignorato tendenze e mode, innovando nella libertà di visione, creando un solco meraviglioso, chiaro, storicizzato; pronto un giorno ad essere riacceso, così come a sua volta, ne ha riaccesi altri, ripescando luci e segni in memorie profonde.
Più a lunga scadenza, un progetto sempre legato all’affresco, è la partecipazione a cantieri stranieri di Frescopolis (sono 26 i Centri in tutto il mondo), potendo così lavorare con pittori di altri continenti, confrontarmi con altri linguaggi. Sto lavorando a un percorso biennale che includa Brasile, Giappone e magari Russia.
E, nel 2018, c’è l’avvio dello studio del mosaico, a Ravenna: fino ad allora mi limiterò a qualche “assaggio” sperimentale e a qualche breve laboratorio. Ma quello con le tessere in pietra dura e il loro potenziale creativo, è un appuntamento al quale tengo tantissimo. Nel mio linguaggio pittorico c’è molto del mosaico, una componente da far emergere in tutta la sua evidenza.
Per le mostre, invece c’è l’avvio di personali all’interno dei musei di arte contemporanea. Non so se sia più corretto definirli obiettivi o sogni, in ogni caso saranno la rotta per molte scelte che mi terranno sempre più lontana da riflettori, eventi in collettiva, testi critici “per tutte le stagioni”, quelli per capirci che applicati alle mie opere o a quelle di qualsiasi altro astratto, cadrebbero comunque a pennello nella loro inconsistenza.
Spero solo di averne la salute: l’infarto dello scorso anno ha imposto riflessioni. E anche limitazioni all’attività fisica, intesa come fatica, come sforzo. Ma senza l’arte, no, non saprei vivere.
Idee ed approcci innovativi per far appassionare i giovanissimi all’arte?
Sollevare lo strato di polvere, l’immagine di “vecchio”. Si è fatto dei musei il regno della burocrazia, delle schede, dei permessi, dei luoghi della penombra, dove anche respirare richiede un’autorizzazione scritta: senza che questo producesse, di contro, nemmeno una adeguata catalogazione dei beni. Amo la museografia, l’ho studiata, sognando il nuovo, sognando un museo che preservi l’arte, creando arte. Il museo è per natura il luogo di sintesi, dove l’arte del contenitore si armonizza, si rafforza nell’arte contenuta, nella sua missione di generare nuova arte, nuovo pensiero, nuove forme, nuovi approcci.
I ragazzi oggi, fin quando la società adulta non li globalizza al basso, hanno una velocità di pensiero straordinaria, un linguaggio di sintesi e un potenziale intuitivo che ritengo rari e preziosi: in questo sono il futuro, sono l’evoluzione. Amano l’arte e ne hanno bisogno per non finire preda amorfa della rete. Siamo a un bivio, tra un futuro che individua la forza nell’intuizione, lasciando l’omologazione alla robotica, e un futuro di lungo sonno, dalle conseguenze difficilmente valutabili anche in termini di specie.
Credo che dare luce e coraggio creativo ai nostri musei e stimolare l’intuizione, possa portare a un naturale fiorire dell’arte nei giovani. Ancor di più che con la pratica, se contestualizzata nello stesso sistema pesante. Nutriamo le menti e avremo arte e intuizione; avremo ragazzi che con consapevolezza diversa, cercheranno la pratica artistica e la sperimentazione. Con la stessa naturalezza con la quale oggi, a dieci anni, sperimentano con il cellulare.
Sono convinta che se i giovani stanno sviluppando un’autostrada con le nuove tecnologie, è solo perché chi, nel mondo adulto, avrebbe potuto inibirli anche in questo, è ancora in affanno generazionale. E’ la nostra mente (e parlo per la mia generazione) che deve cambiare: non la loro! Ci sono, per fortuna, creatività che trasversalmente alle età, sentono il cambiamento in atto, sfuggono alla logica del marketing, dell’omologazione, delle onde emotive pilotate, costruendo realtà autentiche. In queste sta maturando il futuro, anche nell’arte. E i giovani ne sono componente vitale.
Arte e spiritualità nella tua opera. Spirito Religioso o misticismo entrano nei tuoi dipinti?
La religiosità intesa come espressione di un credo o di appartenenza confessionale, no. Religiosità invece, intesa come eredità di secoli di arte sacra, sì. Soprattutto nella ricerca della luce. Della vibrazione di massima intensità di un sentire interiore e del linguaggio che nei secoli si è maturato in questa direzione. C’è una soglia, oltre la quale un’opera brilla di medesima forza nell’astratto e nel sacro, facendone congiunzione in un orizzonte che si allarga: dal sentire per rivelazione al sentire per ricerca, e per scoperta. Per liberazione, in una dimensione che è oltre il visibile. Una sera si conversava di arte con un’amica pittrice, Etta Scotti, vicentina di origine abruzzese. Mi disse che se un giorno si fosse trovata a parlare del mio percorso, avrebbe posto le radici del mio uso del colore, nelle luci del Tiepolo o nella brillantezza dei pastello del Veronese. Una grandezza e un sentire totalmente diversi: eppure, ho sentito reale quel filo intravisto da Etta. Un filo che nei secoli si snoda, non tanto e non solo nella mia pittura, ma attraverso la memoria collettiva, nella pittura di moltissimi altri. E’ la percezione di una vibrazione assoluta nei secoli che ciascuno fa propria e fa rivivere a proprio modo. A seconda delle capacità, del cammino e della propria epoca.
Il misticismo è forza meravigliosa nel dare slancio dalle forme pensiero, anche le più alte, le più arcaiche, nel mio caso le geometrie, all’orizzonte dell’esprimibile. Quel punto nel quale tutto diventa assoluto, luce. Silenzio. In un lento andare che dissolve e trasforma. Qualcosa che non appartiene alla parola, non alla narrazione. Ma che semplicente “E”. Facendo dell’artista il canale potente di una memoria collettiva che nelle opere manifesta “picchi” intensi di vita.
Un sogno “operativo”…
Veder nascere nelle Marche una “Casa dell’arte contemporanea”. Permanente; atelier capace di accogliere creativi anche stranieri, struttura in rete con laboratori e musei nazionali ed esteri. Supporto per la conoscenza dell’arte in Italia, a studiosi e creativi dall’Australia al Messico, dagli Usa al Giappone, attraverso guide autorizzate e contatti con le Accademie e le associazioni.
Non occorre partire con spazi e investimenti faraonici. Per un australiano, fare base nelle Marche per visitare Roma e Firenze… è normale, anzi, più divertente. E’ tempo di grandi reti, dell’apertura, dei contatti, delle collezioni che circolano senza fare deposito, delle sponsorizzazioni a progetto, delle strutture funzionalmente e finanziariamente snelle.
Uscendo dalle vecchie logiche, tutto diventa possibile. In piccolo lo farò con il Centro per l’affresco: porterò gruppi di studio da diversi Paesi, le richieste ci sono già. La base, all’inizio, saranno piccoli spazi, essenziali. Se si è disposti a costruire e si crede a ciò che si è… si aprono portoni inaspettati. Quello che viene chiesto sono cultura e serietà; nel caso dell’affresco: la conoscenza, l’entusiasmo e la possibilità di praticarlo. C’è tutto; per una sede diversa, si vedrà: non è prioritaria.