di Daniele Rocchi
Un incontro formale dagli effetti pratici molto limitati”. Non usa mezzi termini Riccardo Redaelli, professore ordinario di Geopolitica presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del S. Cuore di Milano, per definire il G7 di Taormina, da poco concluso. La due giorni siciliana non ha prodotto che risultati limitati caratterizzata, come era prevedibile, dalla prima volta al summit del presidente americano Donald Trump. Per l’esperto “al G7 sono emerse tutte le divisioni e le lacerazioni provocate dal mutamento radicale, su alcuni temi, dell’amministrazione Trump e dallo stile così poco istituzionale del Presidente Usa”.
Una sconfitta per l’Italia. Più che intese sarebbe meglio parlare di compromessi in qualche modo raggiunti sul commercio, con l’impegno a mantenere aperti i mercati, e sull’immigrazione, la questione che più stava a cuore all’Italia. I Sette Grandi hanno riconosciuto che si tratta di un problema globale e stabilito il diritto degli Stati, individualmente e collettivamente, a controllare i propri confini e a stabilire politiche per la sicurezza.
“Per l’Italia è stato un risultato politico molto negativo. Una sconfitta. Il nostro Paese – spiega Redaelli – è in prima linea, e spesso lasciato solo, a gestire l’accoglienza dei migranti, per gli egoismi e l’incapacità dei Paesi europei. Al G7 – ricorda il professore universitario – è si è parlato anche di Africa come partner per contrastare il terrorismo e arginare il fenomeno migratorio. Anche qui il bicchiere resta mezzo vuoto, anzi, molto più che mezzo vuoto. L’Italia è attiva come singolo Stato con accordi con Paesi subsahariani per cercare di limitare in loco il flusso migratorio. Francamente ci si poteva aspettare un sostegno maggiore da parte del G7, con gli Stati europei che si sono nascosti dietro gli Usa. Una sconfitta perché della questione migranti, che è globale, paghiamo un conto pesantissimo”. La rottura, invece, si è consumata sul clima. Come è noto gli Usa stanno rivedendo le loro politiche ambientali e hanno messo in discussione l’Accordo di Parigi (dicembre 2015) che limita le emissioni nocive. “Anche su questo tema in agenda si registra un flop completo – annota il docente -, un disastro che dimostra l’incapacità dell’amministrazione Usa di pensare al futuro rincorrendo solo il proprio elettorato e le lobby”.
Facile convergenza. A stabilire una convergenza tra i Sette è stata la Dichiarazione contro il terrorismo e il proselitismo sul web. E anche su questo tema, afferma Redaelli, “ Trump ha impresso un cambiamento notevole. Con la sua visita in Medio Oriente, effettuata poco prima del G7, si è riallineato in modo acritico all’Arabia Saudita e a Israele, ponendo l’Iran al centro come il principale nemico e sponsor del terrorismo. Una stupidaggine perché tutti sanno che negli ultimi venti anni i pericoli del terrorismo islamico sono di natura sunnita, schegge impazzite del salafismo, del wahabismo, anti sciiti. Per trovare i responsabili più che all’Iran bisognerebbe guardare all’Arabia Saudita, al Qatar e alla stessa Turchia. Quello che Trump ha imposto è un cambiamento piuttosto pericoloso perché, nella furia della sua amministrazione contro l’Iran, sta alterando la realtà dei fatti.
Il tema terrorismo viene usato strumentalmente dal Presidente per attaccare l’Iran ma in Medio Oriente sono ben altri i responsabili dell’ascesa dello Stato Islamico, di Al Qaeda e gruppi Jihadisti”.
Ue in ordine sparso. Tra i dilemmi politici e diplomatici emersi a Taormina ce n’è uno “molto negativo: l’incapacità degli Usa di guardare al Vecchio Continente come entità unitaria, come un’Unione europea”.
A testimoniare questa incapacità, secondo Redaelli, “gli incontri per nulla soddisfacenti prima del G7 con il presidente della Commissione europea e con quello dell’Europarlamento e l’attacco di Trump, del tutto irrituale, alla Germania (‘Tedeschi cattivi, molto cattivi nel commercio’, ndr.) che ha provocato la forte irritazione tedesca. È evidente l’intento americano di intavolare contatti con i singoli Stati europei manipolandoli un po’ uno contro l’altro. Il pericolo, dunque, è uno sfilacciamento dei rapporti con l’Ue”. Se questo rischio potrà avere “l’effetto di rafforzare le politiche unitarie europee è difficile dirlo – ammette Redaelli – ma c’è da sperarlo. Se siamo ad un livello così degradato della percezione dell’Ue è anche per colpa degli stessi Stati membri”. Alla luce di quanto è emerso in Sicilia più che un G7 è stato un “G6 + Trump”. Valgono le parole del premier Gentiloni che non ha nascosto le differenze con l’America: “Trump è stato scelto dagli americani e ci facciamo i conti. Le differenze non le nascondiamo, ma discutere è sempre utile”. Concorda Redaelli: “Gli incontri come il G7 non sono mai inutili anche se producono risultati deboli.
Per quanto formali, G7 o G20 creano contatti che sono fondamentali. La mancanza di incontro sarebbe un dato peggiore. Se l’Europa agisse più unita e in modo lungimirante sarebbe una sponda più efficace per gli Usa di Trump che ha invertito di 180° gradi la sua politica rispetto al passato.
Oggi lavoriamo di rimessa su questo cambiamento epocale della più grande potenza mondiale”.
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