di M. Chiara Biagioni
Tristezza, incredulità ma anche la determinazione di ritornare alla normalità. Sono questi i sentimenti che attraversano l’Iran all’indomani del duplice attentato che l’Isis ha sferrato mercoledì 6 giugno a Teheran. Un’azione coordinata, terribile nella sua lucidità, mirata a colpire il cuore del Paese, i due luoghi simbolo della Repubblica islamica: il Parlamento e il Mausoleo dell’imam Khomeini, tra i siti più sacri per gli sciiti, non solo iraniani. Il primo attacco è arrivato a sorpresa quando un gruppo di terroristi ha fatto irruzione in Parlamento. Poi è stato colpito il mausoleo nel quale è sepolto Khomeini con il figlio e, dal gennaio scorso, anche Akbar Hashemi Rafsanjani. Kalashnikov, pistole, kamikaze. Alcuni terroristi erano addirittura vestiti da donne, probabilmente per nascondere meglio le armi sotto il chador. Il bilancio finale è pesante, con 13 morti e 52 feriti, di cui molti gravi, e 7 terroristi uccisi.
Il Sir ha raggiunto a Teheran un’autorevole fonte che preferisce rimanere anonima. “E’ davvero triste – dice – che nel mese del Ramadan, dedicato al digiuno, alla preghiera e alla condivisione, il mese in cui si celebra la rivelazione del Corano, siano stati compiuti due gravi attentati terroristici che hanno colpito luoghi altamente simbolici della città di Tehran come il Parlamento e il Mausoleo di Khomeini”.
Dopo lo choc iniziale, l’Iran vuole rialzare la testa. Anche il presidente Hassan Rouhani, rivolgendosi al Paese, ha affermato che “gli attacchi a Teheran renderanno l’Iran più unito e determinato nella lotta contro il terrorismo” e “la nazione iraniana sconfiggerà tutti i piani nemici con l’unità”. La nostra fonte descrive così il clima che si respira oggi a Teheran: “Dopo momenti di incredulità, di paura e di confusione, le forze di sicurezza hanno ripreso subito il controllo completo della situazione che è apparsa ed è abbastanza tranquilla. Non credo che regni la paura e il terrore in città e non si rilevano misure eccezionali di sicurezza se non nei luoghi più a rischio come la metropolitana e gli aeroporti”.
Solo qualche settimana fa, esattamente venerdì 19 maggio, in Iran si sono tenute le elezioni presidenziali alle quali hanno partecipato più di 41 milioni di votanti. A vincerle al primo turno, senza quindi bisogno di andare al ballottaggio, è stato il presidente iraniano uscente Hassan Rouhani con il 56 per cento delle preferenze. Ma che il clima non fosse sereno, lo conferma la nostra fonte. “Negli ultimi mesi ci sono stati segnali di possibili attacchi e l’allerta era alta. Anche se le notizie erano coperte da riserbo, sembra che almeno cinque attentati siano stati sventati nelle zone di confine con il Pakistan, l’Afghanistan e l’Iraq. Il 7 giugno ha dimostrato come questi timori fossero purtroppo ben fondati”.
Lo scacchiere nella regione è complesso e nel “gioco delle parti” sono anche intervenuti protagonisti nuovi. L’Isis colpisce Teheran – spiega il nostro interlocutore – “per il ruolo strategico che l’Iran svolge nella regione e per la lotta al terrorismo. E’ stato scritto che in Medio Oriente sta prendendo forma un regolamento di conti tra schieramenti contrapposti ed è a questo scontro che bisogna guardare se si vuole comprendere quali dinamiche rischiano di infiammare ancora di più tutta la regione”.
In effetti, il duplice attentato è avvenuto a poche ore dalla rottura dei rapporti diplomatici dell’Arabia Saudita, degli Emirati Arabi Uniti e dell’Egitto con il Qatar. Molti si chiedono con preoccupazione se e quanto sia reale la possibilità di un conflitto non più implicito ma diretto tra le due anime dell’Islam sciita e sunnita e quali conseguenze questo conflitto può avere sul difficilissimo processo di pace nella Regione. Insomma perché colpire l’Iran adesso? “Perché gli attentati – risponde da Teheran il nostro interlocutore – sono maturati nell’attuale contesto che abbiamo di fronte a noi, ove vediamo una contrapposizione violenta ed una accesa competizione tra le diverse ideologie politiche e religiose. E’ semplicemente da matti immaginare – anche lontanamente – che si arrivi ad uno scontro frontale tra le parti contrapposte, uno scontro che non deve essere alimentato da nessuno e che – purtroppo – recenti dichiarazioni lasciano sgomenti perché vanno in tutt’altra direzione!”.
La via del dialogo tra le parti non solo è auspicabile, ma è anche l’unica alternativa possibile. Spingere sulla contrapposizione, la violenza, l’odio, scatenerebbe l’inferno. La nostra fonte conferma e conclude: “Staremo a vedere oggi, venerdì, quale messaggio risuonerà nelle moschee di Tehran e del Paese dai pulpiti della preghiera. Io mi auguro che sia un messaggio di pace per la quale tutti dobbiamo lavorare e crederci!”.
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