di Bruno Desidera
Julie Huynh, giovane cooperante francese di 23 anni, da sei mesi aiutava i bambini bisognosi di Bogotá nella zona meridionale dell’immensa metropoli latinoamericana. Quartieri poverissimi e spesso violenti, veri formicai umani. Ed ha trovato la morte nell’esclusivo centro commerciale Andino, nel quartiere di Chapinero, zona residenziale della città, più ricca e sicura. Tra l’altro, proprio gli enormi centri commerciali della capitale colombiana sono sempre stati tra i luoghi più sicuri e presidiati, anche in anni in cui la situazione era molto più a rischio rispetto ad oggi. Un destino beffardo, per questa giovane che credeva nella convivenza e nella pace e si è trovata a essere una delle tre vittime causate dalla bomba esplosa nel centro commerciale sabato 17 giugno, nel tardo pomeriggio. Julie aveva concluso il periodo di stage con l’associazione Projeter Sans Frontières e aveva accompagnato la mamma (rimasta ferita) al centro commerciale. La struttura era particolarmente affollata. La città era tornata alla normalità solo il giorno prima, quando si era concluso, con un accordo, lo sciopero degli insegnanti che per oltre un mese aveva paralizzato la vita della capitale. Era la vigilia del “Giorno del papà”. L’ordigno è esploso nel bagno delle donne e ha provocato tre vittime (tutte donne) e otto feriti.
Un fatto grave e particolarmente inquietante, perché coincide con un momento delicato del cammino di pace. Il Paese sta cercando, con fatica, di uscire da una guerra durata decenni. Giugno è il mese chiave per dare compimento al processo di pace, dopo la firma dell’accordo tra Governo e Farc. Un accordo contestato dall’opposizione dell’ex presidente Uribe, ma visto con scetticismo da vaste fasce della popolazione. Gli ex guerriglieri si erano impegnati a consegnare definitivamente le armi ancora in loro possesso all’inizio del mese. Una data che è stata posticipata di qualche settimana. Nei giorni scorsi, in ogni caso, è avvenuta la seconda tranche della consegna. Per le Farc il 60% delle armi è già stato consegnato, per l’Onu, che ha il ruolo di garante, siamo invece a quota 40%. In ogni caso il resto dell’arsenale dovrà essere dismesso nei prossimi giorni. Ancora, è di una settimana fa il rinvio a giudizio, per contiguità con i gruppi paramilitari, di Santiago Uribe Vélez, fratello dell’ex presidente. In questo clima, l’attentato fa tornare nel Paese i fantasmi del recente passato.
La Chiesa colombiana: “Lavorare per la riconciliazione”. Forti le prima parole espresse dal presidente della Conferenza episcopale colombiana, mons. Luis Augusto Castro Quiroga, arcivescovo di Tunja, nel corso di un’intervista all’emittente cattolica Blu Radio: “È un atto che va contro la pace,
un atto che va contro tutte le forze che si stanno sforzando di superare la storia del nostro Paese.
Questi sono i colpi di coda dei nemici della pace, di coloro che vogliono che in qualche si continui a vivere nella guerra”. Ha detto ancora mons. Castro: “Voglio solidarizzare con le vittime e con le famiglie. Prego per loro e prego perché il Paese rifletta su questo fatto. Invito tutti i colombiani a lavorare fortemente per la riconciliazione e perché esista la capacità di perdonare, con l’obiettivo di costruire una patria di fratelli che si amano e non di lupi che si sbranano”. Un appello che giunge a due mesi e mezzo dall’attesa visita di Papa Francesco, per la quale è stato scelto lo slogan “Facciamo il primo passo”. “È precipitoso dare subito la colpa all’uno o all’altro per quanto accaduto. È necessario che le autorità competenti indaghino – ha aggiunto -, perché si sappia chi sta dietro a tutto questo”. Soprattutto, “bisogna andare avanti per costruire una Colombia che vive in pace”. I sospetti si sono inizialmente concentrati sull’Esercito di liberazione nazionale, l’altra formazione della guerriglia che sta sostenendo i negoziati per la pace a Quito. Ma l’organizzazione ha nettamente respinto questa ipotesi. Si parla anche del Movimiento Revolucionario del Pueblo, una cellula fuoriuscita dall’Eln, già accusata di altri attentati, di minore entità, effettuati a Bogotá nei mesi scorsi. Altre ipotesi portano, invece, ai gruppi paramilitari o legati al narcotraffico.
I nemici della pace vogliono imporre il terrore. “In ogni caso, si tratta di un attentato gravissimo – commenta da Bogotá Cristiano Morsolin, cooperatore, attivista sociale e ricercatore -. Questi sono i nemici della pace che vogliono imporre il terrore. Faccio notare che fin da subito il presidente Santos ha escluso che gli autori siano le Farc o l’Eln”. Morsolin è particolarmente colpito che tra le vittime ci sia una volontaria: “Voglio ricordare l’impegno per la pace di Julie. Aveva soli 23 anni, aveva trascorso un periodo di sei mesi nella capitale come volontaria. Il Comparte, dove operava, è un centro comunitario che ha l’obiettivo di sviluppare e promuovere progetti di partecipazione con forte impatto sociale rivolti alla popolazione costretta ad abbandonare la propria abitazione per la violenza, e agli ex guerriglieri desmovilizados. Il centro si trova nel quartiere Santa Rosa de San Cristóbal, nella zona meridionale della città”. In una nota dell’associazione Projeter Sans Frontières si esprime il “lutto per la perdita della nostra collega Julie Huynh. Julie ha fatto uno stage all’interno del nostro Centro Comparte dal 13 febbraio al 9 giugno dell’anno in corso. Il suo sostegno si è concentrato sul sostegno extrascolastico ai bambini della zona, come parte di un master in Azione umanitaria internazionale in collaborazione con l’università parigina Est Créteil Val de Marne. Fin dall’inizio del tirocinio, Julie si era mostrata molto impegnata e ben disposta a contribuire con le proprie competenze ed energie alla costruzione di una cultura di pace. Deploriamo profondamente la sua perdita ed esprimiamo la nostra piena solidarietà alla sua famiglia e ai parenti”.
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