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Ritiro del Clero, quasi un diario – martedì 20 giugno 2017

Ormai il sole illumina la maestosità dei nostri monti, dal bosco viene il rumore di chi ha iniziato la giornata tagliando la legna e la pagina del Vangelo che viene proclamata rende presente un altro lavoratore, Levi, seduto al banco delle imposte ( Mc 2,13-17). Una vita spesa a quantificare, a fare i conti, a curare il proprio interesse. Un uomo considerato politicamente come un traditore perché stava con i romani, religiosamente come un impuro perché stava con lo straniero, moralmente come un ladro perché la gran parte delle tasse che riscuoteva rimaneva nelle sue tasche. Che strano! Proprio  a lui Gesù dice : seguimi. Ed ancora più strano  è che Levi si alza e lo segue.
É bello pensare che proprio ad uomo tutto chiuso, proiettato su stesso, appartenente  al mondo del calcolo, del guadagno, arriva la parola di Gesù che lo invita alla sequela. Ed è  un’esperienza di risurrezione, come fa intuire l’alzarsi, Per questo nasce la festa attorno ad un banchetto, segno di gioia, di generosità, di un grande cambiamento avvenuto in quest’uomo.
Rincuora ascoltare ancora una volta questa storia, mette dentro una grande pace e tanta fiducia:  Gesù chiama sapendo di scegliere dei peccatori che potranno fare esperienza di conversione e di risurrezione.
L’Eucaristia celebrata prima del pranzo diventa così motivo per dire un grazie ancora più  grande per il dono della chiamata, nonostante il nostro essere seduti, proiettati su noi stessi, sui nostri pensieri e i nostri sogni.
Nelle ore pomeridiane siamo stati portati da Gesù sul monte (Mc 3,13-19): luogo che più si avvicinava al cielo, a Dio e spazio che sa di relazioni profonde e di grande intimità. Abbiamo così meditato sulla Chiesa, sul fatto che Gesù lì “fece i dodici”. ‘Crea’  la comunità cristiana, non con i connotati di un gruppo di amici, ma di persone  chiamate liberamente e a cui Cristo conferisce la sua autorevolezza per fermare, con la forza della Parola, ogni forma di sofferenza del cuore, ogni tristezza.
Su questi pensieri arriva il tramonto e la giornata si chiude davanti a Gesù Eucaristia.
Torna in mente la fotografia della prima chiesa fatta semplicemente di nomi, non una lunga fila di numeri uno, ma persone messi insieme da Gesù per formare un organismo, il suo corpo. C’è perfino colui che lo tradì, Giuda Iscariota, come dire c’è spazio anche per l’errore, e quindi  anche per noi.
Nasce così spontanea ancora una volta la preghiera del grazie perché nella chiesa non vige la regola della perfezione, ma del superamento degli errori, la regola del perdono, della comprensione nei confronti dei fratelli. Grazie perché c’è spazio per il pubblicano amico dei romani ed anche per lo  zelota che li vuole uccidere, per un ragazzo come Giovanni e per un adulto  come Pietro. Grazie perché siamo questi preti, fatti così, amati da Dio così, bisognosi di incoraggiamento più che di correzioni.
E si diffonde una grande pace, dentro ed attorno, nell’entrare così nel mistero grande della Chiesa.
Sara De Simplicio: