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Ritiro del clero – Quasi un diario 21 giugno 2017

DIOCESI –  Camminare oltre il bosco, lì dove si scoprono i campi coltivati, ci aiuta a riflettere sulla parabola oggetto della prima meditazione del mattino ( Mt 13,24-30). Parlando del mistero del Regno, cioè della presenza di Dio in mezzo all’umanità, Gesù racconta di quel terreno dov’era stato seminato solo seme buono eppure vi spunta anche la zizzania. Quest’erba, molto simile al grano, tanto da poterla distinguere con fatica, ma con la differenza che nella spiga non c’è frutto, ha le radici intrecciate a quelle della pianta buona.
Avviene così anche nel campo della storia: è difficile distinguere il male dal bene!
Ed è facile farsi prendere dalla fretta che vorrebbe subito strappare l’erba cattiva!
Ma non si può correre il rischio di distruggere il grano perché si vuol essere precisi, netti, frettolosi.
Viene da pensare come anche nelle relazioni con le persone le radici sono intrecciate, le situazioni sono complesse ed esigono un esercizio di grande pazienza e tanto equilibrio. Nasce spontanea la richiesta a Gesù di donarci uno sguardo capace di vedere non solo il male, ma anche il bene che cresce e di aiutarci a mettere da parte ogni giudizio che, mai, spetta a noi. È il giorno delle parabole e il pomeriggio don Leonardo ci propone il discorso ecclesiale o ecclesiologico di Matteo. Gesù parla a partire da una domanda posta dagli apostoli : chi è il migliore nel regno dei cieli? Anche tra i discepoli di ieri c’era questa sorta di competizione. Ed arriva anche alla domanda di Pietro su quante volte si deve perdonare (Mt 18,21-35), una domanda che come al solito presuppone che sia sempre l’altro a sbagliare! In sala si coglie una particolare attenzione a don Leonardo che, con semplicità e profondità, spezza la Parola di Dio. Qui è possibile condividere solo qualche conclusione. Il discorso alla chiesa si chiude con un invito, un’esortazione al perdono. Gesù sembra dirci: devi perdonare a tuo fratello perché per primo sei stato perdonato tu (Il perdono non lo concede il giusto ma chi è stato perdonato); devi perdonare perché l’altro non è Dio, è uomo, quindi fallibile come te ( a volte esigiamo dall’altro quello che solo Dio può essere); devi perdonare perché il perdono diventa vitale ( non posso perdonarmi da solo: il perdono passa attraverso il fratello).
Nella piccola cappella, forse nel cuore del piccolo numero di preti in adorazione davanti a Gesù Eucaristia, nasce la stessa preghiera, magari con parole e accenti diversi: aiutaci Signore a fare della tua chiesa un luogo di perdono e di festa. Una chiesa che non giustifica il male ma comprende chi cade nel male.
Una chiesa in cui ognuno sa che può non nascondere il peccato perché c’è un fratello prete che conosce la discrezione, che sa custodire il segreto, che cerca di vivere autenticamente l’amicizia perché semplicemente è un uomo che sa voler bene. E mentre scende la sera vengono in mente l’invito di Papa Francesco a “non massacrare le spalle della gente”.