di Bruno Desidera
Il dramma del Venezuela inizia a far sentire i suoi effetti oltre frontiera. Ogni situazione prolungata di guerra, violenza, oppressione, produce immancabilmente persone in fuga, profughi e richiedenti asilo. È così anche per il popolo venezuelano. Due le frontiere calde. In primo luogo, a sud, quella brasiliana: lunga migliaia di chilometri, tortuosa, selvaggia, in parte montuosa e in parte caratterizzata dalla foresta amazzonica. In secondo luogo, ad ovest, la frontiera colombiana. La città colombiana di Cúcuta si trova proprio sul confine e lungo il poroso confine negli anni si sono sviluppati traffici illegali e quotidiane storie di incontro, amicizia, parentela. Ma non mancano rifugiati anche in Guyana, ad est, o nelle isole caraibiche non troppo lontane dalla costa venezuelana.
Brasile, nuovi arrivi in crescita verticale. In Brasile la situazione si sta aggravando di giorno in giorno. La città frontaliera di Paracaima, nello stato di Roraima, è ormai al collasso. Luiz Cláudio Mandela, direttore esecutivo della Caritas brasiliana, interpellato dal Sir, mostra la sua preoccupazione per l’evolversi della situazione. Snocciola numeri che evidenziano una situazione in divenire, in continua crescita.
Ogni giorno circa 200 immigrati attraversano la frontiera meridionale per cercare rifugio in Brasile.
Le richieste di asilo nei primi mesi del 2017 hanno già superato il dato complessivo dei precedenti 6 anni, secondo i dati forniti dal ministero della Giustizia brasiliano. Fino al maggio di quest’anno, ci sono state 8.231 richieste di asilo, contro le 3.375 del 2016. Attualmente, secondo la Caritas, sono circa 30.000 gli immigrati venezuelani solo nella città di Boa Vista, capitale del Roraima; 2.000 di questi, secondo il Consiglio missionario indigeno (Cimi), appartengono al popolo indigeno Warao.
“I venezuelani stanno scappando sia per la situazione politica che si è venuta a creare, sia per la mancanza di cibo, per motivi economici”, spiega Mandela, che aggiunge:
“Gli indigeni sono i più poveri tra i poveri, per loro la situazione economica è ancora più precaria”.
Come accennato, lo stato brasiliano maggiormente coinvolto è quello di Roraima. “Le frontiere con il Venezuela sono in pratica senza controllo”, spiega il direttore della Caritas. I migranti si ammassano a Boa Vista, dove in una palestra è stato istituito un centro di prima accoglienza che ospita circa 400 persone, ma le richieste sono ancora maggiori. E cercano poi rifugio in altre città, a cominciare da Manaus, capitale dell’Amazzonia brasiliana. Qui la Prefettura ha decretato la situazione di emergenza sociale per il flusso di immigrati appartenenti all’etnia Warao.
Secondo Luiz Cláudio Mandela, i migranti venezuelani stanno soffrendo varie situazioni di discriminazione e sono costretti a vivere come spazzini e mendicanti a Manaus, Boa Vista e Pacaraima. I venezuelani chiedono di regolarizzare la loro situazione, ma si trovano ad affrontare problemi come la lentezza del governo brasiliano nel ricevere e vagliare le richieste di asilo. Ad esempio, a Pacaraima non è possibile accedere ad internet per avviare l’iter burocratico relativo alle richieste.
Accoglienza sulla spalle della Chiesa, appello al Governo federale. Il direttore Caritas fa notare che molta parte dello sforzo di accoglienza è sulle spalle “delle Chiese locali, in particolare delle diocesi di Boa Vista e di Manaus, della Caritas, dei missionari Scalabriniani”. Nell’accoglienza “il primo posto va ai minori e alle donne”. Chiesa brasiliana e Caritas hanno anche lanciato una campagna di sensibilizzazione e un’altra per raccogliere fondi.
“Il primo obiettivo è rendere consapevole la società brasiliana di quanto sta accadendo. Spesso convivono due sentimenti contrapposti, c’è solidarietà ma anche confusione”.
Un appello viene poi rivolto dalla Caritas brasiliana ai politici e alle istituzioni: “C’è preoccupazione nei Governi locali, mentre il Governo federale non sta facendo azioni concrete. Noi, come Caritas brasiliana, abbiamo tenuto degli incontri con rappresentanti della società civile e ci siamo rivolti all’Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite, perché il Governo possa essere sensibilizzato a fare di più. Ci stiamo anche mantenendo in costante dialogo con le Caritas dell’America Latina e, in particolare, con la Caritas del Venezuela”.
In Colombia un esodo quotidiano. Come accennato, l’altra frontiera “calda” è quella colombiana, in particolare nella città di Cúcuta. Qui l’emigrazione è soprattutto giornaliera, ma stanno aumentando anche coloro che si fermano nel Paese confinante.
Secondo i dati forniti dalle autorità colombiane, tra 45.000 e 50.000 persone attraversano il confine ogni giorno dalle Venezuela. Alcune stime parlano di un milione e 200mila venezuelani residenti, legalmente o illegalmente, in Colombia.
L’esodo quotidiano è causato dalla totale mancanza di alimenti e generi di prima necessità in Venezuela. Tutte queste persone cercano di procurarsi il necessario in Colombia, nonostante i costi proibitivi. Basti pensare che il salario minimo in Colombia equivale a 280 dollari, quello base in Venezuela a soli 20 dollari.
Per venire incontro alle necessità della popolazione venezuelana la diocesi di Cúcuta ha avviato l’iniziativa, già sperimentata in varie città venezuelane, delle Ollas comunitarias, delle mense solidali informali per venire incontro alle necessità dei più bisognosi.
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