Raccogliere e diffondere le tante buone pratiche che, a livello aziendale, territoriale e istituzionale, stanno già offrendo nuove soluzioni ai problemi del lavoro e dell’occupazione. È uno dei “quattro registri comunicativi” che caratterizzano il percorso di avvicinamento alla prossima Settimana sociale, in programma a Cagliari dal 26 al 29 ottobre sul tema “Il lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo e solidale”. Tante le storie di buone pratiche che sono state segnalate finora dal progetto Cercatori di LavOro, nato con lo scopo di offrire uno sguardo sul territorio dando ai vescovi e alle comunità ecclesiali locali elementi concreti di speranza e spunti creativi per affrontare l’assenza di lavoro e la povertà nelle sue diverse sfaccettature sociali, economiche e relazionali.
Resilienza. “La nostra realtà è un tipico caso di resilienza”. Così Emilio Leosintetizza la storia del Lanificio Leo, “la più antica fabbrica tessile calabrese – racconta – fondata dal mio bisnonno nel 1873 e nella quale per 100 anni abbiamo lavorato e trasformato la lana merinos della Sila fino alla crisi che negli anni ‘70 ha colpito tutto il settore”. “Dagli anni ‘90, facendo ricorso a strumenti più culturali uniti a una grande attenzione a comunicazione e qualità del prodotto – prosegue Leo -, è iniziato il recupero del vecchio impianto, utilizzandolo sia come museo d’impresa sia come laboratorio di sperimentazione. Dopo 10 anni di prove e festival culturali, nel 2008 siamo ripartiti imprenditorialmente creando gradualmente le condizioni per favorire occupazione sul territorio”. Il lanificio ora produce tessile per la casa e piccoli accessori moda, “con un approccio contemporaneo e l’attenzione all’estetica. Una realtà che ora può cominciare ad internazionalizzare”. La trasformazione, afferma Leo, “ha consentito di portare avanti la storia dell’azienda, dare lavoro a un certo numero di persone e farci diventare un centro turistico attrattivo per la visita allo stabilimento. Inoltre, l’attività culturale della fabbrica ha generato altre realtà sociali d’impresa”. “Siamo convinti – aggiunge Leo – che non possiamo prescindere dal luogo e dalle persone con cui portiamo avanti la nostra azienda, perché la nostra storia vorrebbe sovrapporsi e aiutare quella della comunità. Un modello – conclude – che può essere esportato, con le dovute personalizzazioni”.
Integrazione. “Lo strumento è l’agricoltura, l’obiettivo e la motivazione sono l’accoglienza e l’integrazione sociale”. Così Salvatore Stingo, presidente della cooperativa Agricoltura Capodarco, presenta la realtà di questa azienda agricola insediata a Grottaferrata dal 1978 per dare allora lavoro a persone con disabilità fisica accolte nella comunità fondata da don Franco Monterubbianesi. “Oggi – spiega il presidente – lavoriamo principalmente con ragazzi con disabilità mentali attraverso l’accompagnamento al lavoro e i corsi riabilitativi”. L’azienda agricola conta su due poli: a Grottaferrata si è sviluppata la parte vitivinicola mentre a Roma, nella “Tenuta della Mistica”, ci sono gli orti. Sui 40 ettari di terreno complessivi si producono ortaggi, vino, olio, miele. “Vendiamo direttamente i nostri prodotti, tutti biologici, e facciamo anche ristorazione agrituristica”, continua Stingo, sottolineando che “facciamo anche un lavoro con gli immigrati sul fronte della formazione”. Una realtà, quella di Agricoltura Capodarco, che si dimostra economicamente sostenibile grazie a “filiera corta, trasformazione e ristorazione”, aggiunge il presidente, precisando che “nel 2000 abbiamo compiuto la scelta di renderci autonomi dal finanziamento del sociale”. La cooperativa oggi conta su “40 soci dipendenti, compresi i soggetti svantaggiati che lavorano con noi”, a cui si aggiunge nei periodi di particolare carico lavorativo una ventina di altri lavoratori.