I dati parlano chiaro: l’Italia rimane il Paese meno fecondo d’Europa. Al netto di qualche scostamento statistico, il tasso di natalità che si registra nel Belpaese viene dopo quello degli altri 27 Stati aderenti all’Unione europea. Un elemento non nuovo nella demografia nazionale, rimesso nero su bianco da Eurostat, che pubblica i dati statistici comunitari relativi al 2016.
L’istituto statistico dell’Unione segnala dunque che la popolazione complessiva dei 28 è salita, al 1° gennaio 2017, a 511,8 milioni di abitanti, contro i 510,3 dell’anno prima. Nascite e morti – spiegano gli esperti – si equivalgono a 5,1 milioni. “Il che significa che la popolazione è cresciuta di 1,5 milioni di unità grazie al saldo migratorio”. Il Paese più popoloso è la Germania con 82,8 milioni di abitanti, seguita da Francia con 67 milioni, Regno Unito (66), Italia (60,6), Spagna (46,5), Polonia (38 milioni).
Lo scorso anno 18 Stati hanno visto crescere la popolazione totale, altri 10 hanno invece perso abitanti e, fra questi, appare l’Italia, che ha perso quasi 80mila cittadini (1,3 per mille della popolazione).
Venendo al tasso di natalità, il più elevato si registra in Irlanda con 13,5 nati per mille abitanti, seguita a ruota da Svezia e Regno Unito (11,8 per mille) e Francia (11,7). Il dato più basso è proprio quello dell’Italia: 7,8 nati per mille abitanti, seguita a breve distanza da Portogallo (8,4), Grecia (8,6), Spagna 8,7), Croazia (9,0) e Bulgaria (9,1 per mille). È lo stesso rapporto di Eurostat a segnalare che “i tassi più deboli sono rilevati nei Paesi del sud Europa”. E qui qualche riflessione sarebbe necessaria.
I numeri relativi alle culle dividono sostanzialmente in due l’Europa: quella del nord e quella del sud. Un tempo avremmo detto, forse, l’Europa protestante e anglicana e quella cattolica: oggi questa valutazione oggettivamente non regge per diverse ragioni. Semmai potremmo dire che la linea di demarcazione segna la differenza tra un’Europa più o meno segnata dalla crisi, oppure con un differente sviluppo del welfare, con maggiori o minori incentivi alla natalità, con una migliore o peggiore relazione tra vita familiare e professionale. O, ancora, e più semplicemente, con un grado di ricchezza/sviluppo (misurabile in Pil) più o meno elevato.
Comunque sia, l’Italia sta in fondo alla classifica e il livello demografico dipende soprattutto dal contributo dell’immigrazione. Altrimenti l’Italia sarebbe un Paese ancora più vecchio di quanto non lo sia oggi.
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