«Dove ci condurrà la vita? Che importanza ha saperlo se sei certo che là dove ti condurrà c’è un amore». Con la frase di Carlo Molari è stato introdotto l’intervento dell’Arcivescovo di Bologna, mons. Matteo Zuppi. Un intervento quello di mons. Zuppi incentrato sulla parola «Amore» che è infatti il cuore pulsante del convegno si è tenuto da venerdì 14 luglio a domenica 16 luglio presso la «Fraternità Romena» nel comune di Pratovecchio (Arezzo).
Il Vescovo ha aperto il suo intervento ricordando il viaggio compiuto insieme a Francesco Guccini ad Auschwitz. «Nei campi di concentramento è morto l’uomo. In quei luoghi non c’era più l’umanità, non c’era più l’amore. Nella vicina Birkenau ci si accorge immediatamente dell’intensità della fabbrica di morte. I tanti sopravvissuti hanno trovano la forza faticosissima per la resurrezione. Con Guccini – ha spiegato il vescovo – ci siamo interrogati su tutto questo male ed è una domanda che è rimasta aperta. Anche oggi abbiamo 1.000 Auschwitz, tutti i giorni. Il problema è che non abbiamo imparato a scandalizzarci e nell’uomo a non uccidere il suo fratello. L’interrogativo sul male degli uomini resta aperto».
«Oggi ancora si discute sull’accoglienza, se accogliere o meno. Come per la problematica dei minori non accompagnati. È un’assurdità – ha commentato mons. Zuppi -. Anche Guccini razionalmente non è riuscito a sciogliere la questione, la domanda “quando l’uomo potrà…” rimane senza risposta. L’unica risposta che unisce tutti, credenti e non credenti la troviamo nel vangelo: “Avevo fame mi hai dato da mangiare”. Dobbiamo quindi cercare di riscoprire l’umanesimo, cercando di misurarci sulla vita delle persone e sull’eredità che dobbiamo lasciare».
Il Vescovo si è poi soffermato sul suo ultimo libro: «Guarire le malattie del cuore» dove il presule ha individuato 40 malattie con delle possibili cure.
«L’opposto dell’amore è l’orgoglio – ha affermato mons. Zuppi, per poi proseguire – mia mamma si arrabbiava sempre con me perché andavo in giro come uno straccione. Mi ripeteva continuamente che mi mancava l’amor proprio. Inizialmente associavo l’amore proprio all’orgoglio, poi con gli anni ho compreso che l’amor proprio è molto importante perché anche nel Vangelo l’amore in uscita deve essere proporzionale a quello di entrata. L’orgoglio è invece la caricatura di questo. Nella società di oggi facciamo difficoltà ad individuare il male e l’orgoglio ce lo fa capire, perché l’uomo per l’orgoglio riesce a dividersi, a togliere il saluto. A studiare dei modi per poter far del male agli altri. Se riusciamo a sconfiggere l’orgoglio staremo bene».
«Chi ha saputo combattere l’orgoglio è stato San Francesco che trasmetteva l’amore di Adamo, cioè senza orgoglio e Papa Giovanni XXIII che nei suoi racconti combatté tantissimo contro il suo orgoglio. La mitezza del Papa era dovuta ad una faticosa lotta contro sé stesso, quelli che il Patriarca Atenagora chiamava la “lotta al comparativo”».
Soffermandosi poi sulla poesia di Erri De Luca «il contrario di uno», mons Zuppi ha ripercorso la storia della sua vocazione e la scoperta per lui dell’amore. «L’amore per le persone della mia generazione era viverlo nella comunità. A me la cosa che piaceva tantissimo era nei rapporti fraterni, diretti, perché quando l’amore diventa un riferimento reale sul quale ti confronti, ti cambia completamente. Oggi, invece di pensarci comunità, per correre appresso al mondo, abbiamo perso un po’ il senso di famiglia nella Chiesa. La famiglia è importantissima, però abbiamo rinunciato a prendere sul serio il comandamento evangelico: Amatevi l’un l’altro, come Lui ci ha Amato. Il Vangelo ci parla di un’umanità molto concreta dove la comunità aveva un cuore e un’anima sola. Noi preti a volte ce lo sogniamo».
«Atti degli apostoli 2,42 è il mio testo di riferimento che vado sempre a cercare. Per me è un’attrazione straordinaria: “Un cuore solo, un’anima sola”. Un Amore che porta ad essere un’anima sola. Se la Chiesa diventerà e penserà come comunità, troverà la comunione, altrimenti sarà sempre un esercizio tra clericalismo e democrazia. In famiglia invece non c’è questo, c’è un cammino di comunione».
Mons. Zuppi ha poi ripercorso la sua storia nella comunità «Giovanni XXII».
«Don Milani affermava che non esiste l’amore universale – ha affermato l’arcivescovo di Bologna – esiste l’amore specifico e lui parlava dei bambini di Barbiana per cui, come lui stesso affermava, “aveva perso la testa”. Quando la prima volta mi rubarono i soldi in un campo Rom, mi arrabbiai, ma non smisi ad andare perché mi avevano alleggerito. Il nostro servizio infatti non deve essere vissuto come un volontariato, nessuno in famiglia o verso il proprio fratello si sognerebbe mai di parlare di volontariato, è soltanto amore verso il fratello».
In chiusura mons. Zuppi ha parlato del suo impegno nella Chiesa di Bologna. Il Vescovo ha affermato: «Credo che c’è un enorme vantaggio dovuto a Papa Francesco. Nonostante l’oggettiva distanza, Papa Francesco riesce a comunicare un senso di prossimità per cui le persone sentono un legame con il Papa quasi istintivo. Una volta a Roma, mentre eravamo a pranzo con un gruppo di sacerdoti il cameriere ci chiese se anche il Papa sarebbe venuto. Alla mia domanda sul perché mi spiegò che il Papa gli era talmente simpatico che lo avrebbe voluto servire al ristorante.
Unire il servizio con la prossimità, ci riguarda tutti. Non è solo un problema di ruolo in quanto abbiamo galatei che di fatto allontanano o non permettono di avvicinare le persone.
Quando Papa Francesco afferma in maniera simpatica che i cristiani a volte sono: mummie, hanno facce da quaresima senza Pasqua, ci dice delle verità che toccano tutti.
Sono comunque consapevole dei miei limiti e i preti me lo ricordano in maniera molto diretta. Spero che non ci sia tanta scissione tra quello che debbo fare e quello che ho nel cuore.
Al termine dell’ultima assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana il Papa ha affermato: «siamo un po’ tutti intelligenti e un po’ scemi» ricordandoci tutti abbiamo dei limiti. A volte abbiamo una concezione moralista che è una tragedia.
Il mondo e l’orgoglio fanno credere che: se io prendo, se io posseggo, se io affermo me stesso: trovo amore. Invece come nella sapienza evangelica: solo sé perdi: trovi. Abbiamo reso noioso una cosa che è liberante, quando doniamo quello che abbiamo più vicino siamo nella gioia.
Dobbiamo vivere l’amore che Lui ci ha insegnato. L’amore infatti dovrebbe essere per noi la specialità della casa e forse ce la siamo un po’ persa».
Mons. Zuppi ha concluso il suo intervento citando una lettera scritta da Don Milani ad una giovane studentessa che si interrogava su Dio. Il sacerdote di Barbiana rispondeva che nel prossimo si può trovare Dio.
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