Dove sono arrivati i fondi 8xmille a sostegno dei Paesi in via di sviluppo? Nel 2017 la Chiesa italiana ha assegnato 85 milioni di euro per interventi di promozione umana nelle aree più povere del pianeta. Spesso a sostegno di scuole e ospedali, formazione degli insegnanti, di medici e infermieri, oltre che di pozzi e progetti agricoli, spesso dietro richiesta di missionari e diocesi di Asia, Africa e America Latina.
Interventi in salita, in difesa degli ultimi, talora anche in aree di post-conflitto o di guerra a bassa intensità. Come quelli raccontati da vicino nella campagna Cei di quest’anno, in Terra Santa e in Albania.
In Terra Santa i fondi hanno raggiunto due suore comboniane impegnate a fianco di chi cresce nel deserto di Giuda. La loro rete di 7 asili per i figli dei beduini le due missionarie l’hanno realizzata a Jahalin, nelle dune rocciose tra Gerusalemme e Gerico, dove formano anche insegnanti locali. Tra le baracche dei pastori e in vista delle colonie israeliane, gli asili sono un’oasi di disegni, giochi e istruzione per chi cresce nelle comunità nomadi, sfollate dal deserto del Negev per l’instabilità politico-militare tra Israele e l’Autorità palestinese.
Quest’area C della Cisgiordania, che per gli accordi di Oslo sarebbe dovuta passare nel 1999 dal controllo israeliano a quello dell’Autorità nazionale palestinese, è diventata militarmente strategica. Così la pressione sui pastori – che hanno sempre vissuto spostandosi con le loro greggi in tutta la regione, a seconda delle stagioni – è cresciuta. Sotto divieto di spostarsi o costruire, con limitato accesso all’acqua e le baracche periodicamente distrutte dai coloni che hanno ripopolato le colline, anche con insediamenti illegali secondo gli accordi di Oslo, non perdono almeno il diritto all’istruzione.
È un apostolato di dialogo e formazione umana, che mira a stemperare l’odio, a non far crescere nell’analfabetismo e nell’esasperazione le nuove generazioni quello dell’italiana suor Agnese Elli e dell’eritrea suor Azezet Kidane. E una presenza orante. La Cei ha contribuito con 140 mila euro in tre anni.
Non comuni le storie personali delle due religiose. Suor Agnese è veterana dei fronti più rischiosi: dalla guerra in Sudan fino a Dubai, dove ha servito i migranti asiatici. Suor Azezet è in prima fila anche nella lotta alla tratta dei profughi in fuga verso Israele dal Corno d’Africa, vittime di atrocità nel deserto del Sinai (dal 2009 si contano circa 15mila rapiti e 3mila uccisi). Per aver denunciato il coinvolgimento di vertici istituzionali eritrei nel business del trafficking, il governo di Asmara le ha ritirato il passaporto. Ma nel 2012 dal Dipartimento di Stato Usa ha ricevuto il riconoscimento di “eroe nella lotta al traffico di esseri umani”. Il loro Vangelo, anche nel deserto, è la custodia degli ultimi.
È invece un progetto di rafforzamento economico e umano quello realizzato nel montuoso nord dell’Albania, nella provincia di Puke, tra le famiglie dei pastori, in un Paese che cambia. Prima destinazione europea di Papa Francesco nel 2014, l’Albania è lontana dallo sviluppo rampante che le viene spesso attribuito. Il Paese non è Tirana, la capitale. Frenato dalla corruzione, mantiene uno dei maggiori tassi di emigrazione del mondo. Le regioni settentrionali, montuose, con scarse vie di comunicazione, e ancora arcaiche per cultura e sviluppo, sono tutt’oggi ostaggio del kanun, il codice di vendette familiari, che pesa sull’economia.
Qui l’8xmille, affiancando la Ong italiana Rtm, ha contribuito con 160mila euro per tre anni al rafforzamento economico e sociale di circa 50 famiglie di pastori, con tutor e macchinari per avviare piccoli caseifici. “Formazione e veterinario no-stop hanno incrementato le greggi, con piccoli contributi messi a bando – spiega Francesco Gradari, di Rtm -. Famiglie poverissime sono uscite così dalla soglia di sopravvivenza. Attrezzare una stalla, passando da 50 a 150 capi, ha significato non costringere i figli all’emigrazione. O dare più valore all’istruzione dei piccoli, che qui fanno anche 10 chilometri al giorno per andare a scuola, con un alto tasso di abbandono degli studi”.
Positiva la ricaduta sulle donne. In Albania il 50% – secondo dati nazionali – è vittima di violenza domestica, e nel nord del Paese delle aquile le cifre salgono. “Per questo abbiamo voluto percorsi per iniziative economiche femminili, ricevendo le prime richieste”. Ossigeno in un’ area dove per le donne non c’è vita pubblica. E il futuro si cambia a piccoli passi.