Gilberto Donnini
Sabato 5 agosto il card. Dionigi Tettamanzi è ritornato alla casa del Padre. Mi sembra significativo rimarcare questa data perché don Dionigi era molto legato a Giovanni Battista Montini, l’arcivescovo di Milano che l’aveva ordinato sacerdote in Duomo il 28 giugno 1957 e che lui ha sempre avuto come punto di riferimento. Possiamo dire che gli è stato vicino anche al momento della morte perché Paolo VI è morto nel giorno della Trasfigurazione del Signore, il 6 agosto.
Ho avuto parecchie occasioni d’incontro con don Dionigi: innanzitutto (prima che diventassi sacerdote) nel Seminario di S. Pietro a Seveso dove insegnava ai prefetti, come sempre, in modo ordinato e preciso, anche se magari non sempre entusiasmante. Ma don Dionigi ha sempre avuto una grande capacità di sintesi e un ordine ferreo nell’esposizione. Poi, anche in seguito quando era professore di morale in seminario, e avevo occasione d’incontrarlo dopo che ero diventato direttore del settimanale di Varese “Luce”, faceva osservazioni che, alla fine, sembravano incoraggianti:
“Magari non sempre quello che scrivi è condivisibile, però perlomeno è chiaro”.
I temi sui quali il prof. Dionigi Tettamanzi si era particolarmente specializzato erano la bioetica e la famiglia e, proprio su questo, il Papa Giovanni Paolo II lo ha chiamato a collaborare nella stesura della esortazione apostolica “Familiaris Consortio” e credo lo abbia stimato parecchio perché il 1° luglio 1989 lo ha poi nominato arcivescovo di Ancona-Osimo. In quel periodo ero diventato anche presidente della Federazione italiana dei settimanali cattolici (Fisc) e vale la pena di sottolineare che si è subito dimostrato motto attento nei confronti di questi strumenti: ricordo che nominato da poco ad Ancona ha risposto positivamente quando è stato invitato per presenziare a un incontro dei settimanali cattolici delle Marche a Senigallia e si è dimostrato molto disponibile e cordiale condividendo con noi anche il pranzo.
Ma il periodo più intenso di collaborazione con i settimanali è stato dopo la sua nomina a segretario generale della Cei il 14 marzo 1991: subito dopo la nomina ha partecipato al convegno nazionale organizzato dal settimanale “L’Ortobene” di Nuoro. Mi ha confidato di aver chiesto a Ruini se doveva partecipare e che Ruini gli aveva raccomandato di non mancare, ma anche in seguito, l’ho sentito molto vicino; cosa della quale, credo, la Fisc debba essergli molto riconoscente.
Infine, nominato arcivescovo di Milano, l’11 luglio 2002, è stato successore del card. Carlo Maria Martini; successione certamente difficile ma che Tettamanzi ha saputo portare avanti con intelligenza evitando di ripetere “specialità” di Martini (la “cattedra dei non credenti”, per esempio) e impostando con stile cordiale il suo rapporto con la diocesi: diceva che “la gente più di un discorso si ricorda se l’arcivescovo gli ha stretto la mano”. Di qui, alla fine delle celebrazioni e con grandi disperazioni da parte di cerimonieri e parroci che non sapevano quando avrebbe finito, lunghe file di gente che si fermava in chiesa per dargli la mano.
Molti hanno sottolineato – e giustamente – la sua attenzione ai poveri, alle persone “dal cuore ferito”, sofferenti e in difficoltà. Ma anche con una grande concretezza dei suoi interventi: voglio ricordare soltanto il “Fondo Famiglia-Lavoro” promosso per venire incontro alle famiglie in grave difficoltà a causa della crisi del 2008, utilizzando anche fondi personali, e valendosi della presenza capillare dei centri di ascolto Caritas sul territorio. Una iniziativa ancora in atto e che non sarà facilmente dimenticata.
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