Occhetta ha osservato come “in Italia, il grande dimenticato dell’ordinamento sono le vittime e il loro dolore” e ha ricordato alcuni dati relativi ai detenuti italiani, soprattutto quelli riguardanti il sovraffollamento delle carceri (quasi 57mila detenuti a fronte di una capienza massima di 50mila) e il tasso di recidiva che “è del 69%”. “È un modello che non funziona”, ha ammonito il gesuita, rilevando che “se la recidiva calasse anche solo dell’1% ci sarebbero migliaia di euro di risparmi”. In Italia, ha aggiunto “23mila le persone sottoposte a misure alternative al carcere, che stanno funzionando perché la recidiva è quasi del 18%”. Occhetta ha poi spiegato che oltre al modello di “giustizia retributiva con certezza pena e proporzionalità della pena” e a quello della “giustizia rieducativa” si sta affacciando un “modello integrativo, quello della giustizia riparativa con al centro il dolore della vittima”. “La pena – ha aggiunto – viene stabilita rispondendo a tre domande: ‘chi è colui che soffre?’, ‘qual è la sua sofferenza?’ e ‘chi ha bisogno di essere guarito?’”. Il percorso si articola in cinque passaggi: “il riconoscimento per il reo delle propria responsabilità davanti alla vittima e alla società; l’incontro del reo con la vittima; l’intervento della società attraverso la responsabilità diretta e l’intervento del mediatore; l’elaborazione della vittima della propria esperienza di dolore; l’individuazione della riparazione”. Prima di aver ricordato le radici bibliche del modello, il gesuita ha affermato che il “modello di giustizia riparativa c’è in Europa e in America. In Italia dovremmo aiutare la politica a farlo diventare sistema”. Occhetta ha poi ammonito che “siamo chiamati a fare verità”, a “non giudicare ma a rieducare il colpevole”. E, ricordando i suoi studi di giurisprudenza, ha rilevato che “rischiamo di vivere un diritto troppo positivizzato. Ai miei compagni di studi a fine degli anni ‘80 dico: ‘tutti sognavamo questo modello che ci poteva cambiare la vita nella giustizia. Ma dove siete andati a finire?’. Si sono positivizzati”. “Il diritto – ha concluso – è la distruzione di una relazione e la possibilità di far reincontrare le persone, non aumentare ed esasperare i conflitti e la tensione sociale”.