È passata una settimana da quando a Turku, sulla Kauppatori, la piazza del mercato, Abderrahman Mechkah, diciottenne marocchino che risiedeva in un centro di accoglienza per richiedenti asilo, ha seminato il panico e, armato di coltello, ha ucciso due donne finlandesi e ferito otto persone. Per la prima volta è scesa sul Paese nordico l’ombra del terrorismo. Ferito e arrestato l’autore dell’attentato, la Polizia in questi giorni sta conducendo indagini su un gruppo di radicalizzati già segnalati ai servizi segreti e ha fermato altre persone sospette di aver avuto un ruolo nell’attentato.
No a ogni forma di violenza. “Dopo venerdì scorso la città di Turku è rimasta pacifica, ma tutti sono sotto choc. L’atmosfera è di raccoglimento. La Finlandia è un Paese che è stato ed è, nonostante questi recenti eventi, un Paese pacifico. In questi giorni gli abitanti della città si recano a visitare Kauppatori, dove è avvenuta questa tragedia, e depongono fiori e candele accese in memoria delle vittime. Sul posto da venerdì ci sono anche persone specializzate che ascoltano chi ha bisogno di parlare. La vita è ripresa ma il dolore è lì”. Lo testimonia don Jean Claude Kabeza, il parroco della comunità cattolica di Turku, che è stata “molto toccata direttamente, perché tra i feriti c’è anche una persona della nostra comunità che è ancora in ospedale e che noi portiamo nelle nostre preghiere con tutta la sua famiglia e naturalmente con tutte le altre”.
Anche i cattolici, come tutti gli abitanti di Turku, “si stanno domandando il perché di tanto odio e violenza, perché colpire persone innocenti”.
Alla sera del giorno dell’attentato, il 18 agosto, “abbiamo partecipato alla preghiera organizzata dalla Chiesa luterana e presieduta dall’arcivescovo Kari Mäkinen, alla presenza delle autorità civili e politiche”, racconta ancora don Kabeza, per pregare per le vittime e le famiglie colpite. Il messaggio però è stato “il rifiuto categorico dell’odio e della violenza”. Lo stesso messaggio è stato ribadito domenica scorsa, in un’altra commemorazione solenne sul luogo dell’attentato, con tutti i rappresentanti delle comunità religiose e civili di Turku. Un tratto che connota la comunità cattolica finlandese è l’essere composta di immigrati per oltre il 50%, come immigrato è lo stesso don Jean Claude.
Ma intanto cresce la rabbia… Come prevedibile, l’attentato di Turku ha innescato una “accesa discussione nella società e sentimenti di rabbia” verso gli immigrati. “Non voglio leggere tutto quello che si sta scrivendo sul mio profilo facebook, perché è brutto e orribile”, confida il vescovo luterano Kaarlo Kalliala, vescovo coadiutore di Turku e presidente del Forum nazionale per la cooperazione interreligiosa (Uskot), rete nata nel 2011 che unisce oggi cristiani musulmani ed ebrei. Invettive e parole d’odio sono diventate virali, in una
“irrazionale crescita del populismo”.
Si discute se “la legislazione sui richiedenti asilo e l’immigrazione sia giusta, se sia necessaria maggiore efficienza, se siano queste leggi a creare situazioni di disperazione” come quella del giovane autore dell’attacco.
“La religione non c’entra”. La multiculturalità attuale della Finlandia, dove stando agli ultimi dati statistici gli immigrati sono un terzo dei 5,5 milioni di abitanti, è un dato recente: “30 anni fa eravamo un Paese monoculturale”, spiega il vescovo, il quale ritiene che la legislazione non abbia bisogno di essere cambiata. Il fatto poi che tra chi ha cercato di fermare l’attentatore ed è rimasto ferito ci siano state anche persone straniere è un dato che è stato spesso sottolineato in questi giorni e dimostra che finlandesi e non sono uniti e fanno parte dello stesso popolo.La Finlandia è un “Paese forte e stabile, dove si vive in pace”; tra la gente “la fiducia è forte”, nonostante tutto, dice il vescovo.Chi ha agito a Turku, così come a Barcellona o Manchester, “non può rappresentare l’islam, né alcun’altra religione: sono persone che cercano di giustificare con la religione” i loro atti, ma “in realtà è l’infelicità personale” a muoverli. Pronta e accorata è stata la reazione da parte delle Chiese e delle religioni a questi fatti: all’indomani dell’attentato, le comunità musulmane in Finlandia lo hanno pubblicamente condannato.
“Condividere la vita”. I rappresentanti delle diverse comunità di fede si sono presentati tutti uniti nelle celebrazioni di Turku, così come a quella che si è svolta a Helsinki lunedì scorso, su iniziativa del Forum Uskot, presso la “Kampin kappeli”, la “cappella del silenzio”, luogo ecumenico di preghiera e di silenzio nel centro della capitale finlandese. In futuro ci sarà bisogno di creare “migliori legami con le altre religioni presenti in Finlandia, come ad esempio con i buddisti”, afferma il vescovo Kalliala, che, a proposito dell’esperienza del Forum, dice:
“Parliamo la stessa lingua e ci capiamo. Abbiamo buone relazioni anche con il governo”.
Sarà però necessario “trovare vie d’incontro e comprensione nelle comunità, non solo tra la leadership. Occorre imparare a conoscersi meglio per poter così prendersi cura gli uni degli altri. Per fare questo non bisogna considerarsi come rappresentanti di altre religioni, ma come esseri umani: questo non è possibile se non si condivide la vita”.