Per Papa Francesco ci sono molti modi per riconoscere se un vescovo possiede i tratti essenziali che lo devono caratterizzare: “Un uomo ad aedificationem, fecondo nella sua paternità spirituale nei confronti del popolo fedele di Dio a lui affidato; capace di lasciare, come Davide, l’eredità di quarant’anni di governo per il suo popolo e il popolo consolidato, forte; un uomo coerente, con una pietà non fittizia”; con il “coraggio di discernere per il bene del suo popolo nei crocevia ambigui della storia” e capace di non cedere “alla tentazione della ‘mondanità spirituale’”. Lo sostiene padre Diego Fares nell’ultimo numero de “La Civiltà Cattolica”. “Papa Francesco – sottolinea – ci mostra ogni giorno che la ‘vicinanza con tutti’ non è questione di maggiore o minore simpatia personale: è, invece, un ‘lavoro’. È un ‘non schivare il lavoro’, proprio del pastore che esercita la misericordia e il discernimento nella vicinanza cordiale, nella pastorale concreta, nell’uscire verso tutte le periferie geografiche ed esistenziali”. Francesco “ci fa capire che il discernimento non è un’attività elitaria e pericolosa”, ma “è un lavoro: quello di coinvolgersi nella vita concreta della gente, mettendosi personalmente in discussione, senza nascondersi dietro formulazioni astratte, ogni volta che sono in gioco, drammaticamente, il bene e il male delle persone”. Con il suo paziente amore per la diversità, il Pontefice “ci attesta che anche la sinodalità è un lavoro: quello di fare un cammino con tutti, uniti nelle differenze, affinché lo Spirito possa operare nella vita multiforme e poliedrica della Chiesa”, mentre con la sua preghiera esorta tutti i vescovi a “non essere ciechi”, ma “persone che desiderano consegnare integra l’eredità gratuitamente ricevuta e che sanno ‘salutare le promesse da lontano’”. Per essere tale, un vescovo “deve recarsi al tempio con frequenza, mettersi alla presenza incoraggiante di Dio, dedicarsi alla preghiera fiduciosa”.